C’è un momento della giornata in cui la routine lavorativa o studentesca si spezza: la pausa pranzo. Verso mezzogiorno le strade si inondano di persone, spesso di fretta, o studenti appena ridestati dalle lezioni e un effluvio di aromi riempie le narici. Dal profumo di pasta che esce dalle case all’odore di pane tostato dei bar. I più piccoli corrono verso la casa della nonna o da mamma e papà, mentre quelli che rimangono alla mensa scolastica aspettano di potervi tornare. Ormai si possono trovare locali adatti ad ogni tipo di appetito e gusto: da piccoli bistrot nascosti in stradine secondarie a ristoranti tipici, da ristoranti bio o vegani ai fast-food. Oltre ad essere un breve intervallo tra le questioni che ci si ritrova ad affrontare ogni giorno, la pausa pranzo può e forse deve essere un momento per socializzare ed anche azzardare. Innanzitutto perché permette di non essere soli se, ad esempio, ci si deve presentare a nuovi colleghi o fare amicizia con i nuovi compagni di corso, in secondo luogo, spinti dalla curiosità o da una nuova conoscenza, si può assaggiare una nuova pietanza.
Cambiare abitudini, infatti, fa bene alla mente, tiene attivo il cervello e dona più autostima. Come insegna Chiara Gamberale in Per dieci minuti, è sufficiente poco tempo per uscire dagli schemi che a volte opprimono. In Italia le scelte alimentari nella pausa pranzo sono cambiate dal piatto di spaghetti mangiato da Alberto Sordi in Un Americano a Roma, ma non molto: una recente inchiesta di Doxa e Deliveroo condotta su un campione di lavoratori di Milano e Roma, ha evidenziato come nella prima si prediligano l’insalata di pollo e il sushi, mentre nella seconda le lasagne. Proprio a questo proposito sono nate delle applicazioni che propongono un pranzo sociale innovativo. Ne è un esempio Never eat alone: una app che permette di cercare i colleghi d’ufficio la cui pausa pranzo coincide con la propria ed evitare così il computer come unico compagno. SoLunch, invece, permette di contattare persone nelle vicinanze del proprio posto di lavoro o studio, che mettono a disposizione un posto a tavola, basta prenotare tramite computer o smartphone.
Per quanto riguarda la pausa pranzo online, in Italia sembra che solo il 13% rimanga connesso e quindi legga e-mails o “scrolli” le home dei social networks, all’estero la situazione è diversa. Nel Regno Unito è stato rilevato nel 2017, che la gran parte dei lavoratori prende a malapena 20 minuti di pausa, svolgendo nel frattempo incombenze personali o di lavoro con il proprio smartphone o computer. Di sicuro i colleghi svedesi, pur ricevendo sempre l’etichetta di “freddi”, si divertono di più. Un’idea nata nel 2010 da Molly Ränge è il lunch beat che ha semplici regole: 60 minuti di pausa pranzo, bisogna ballare per forza, non si può parlare di lavoro e il pranzo è gratis! Chissà se il Lunch Beat Manifesto verrà portato in Italia prima o poi, per ora è stato importato in Belgio.
Il Paese in cui i lavoratori si godono di più la pausa pranzo è la Francia (secondo Le Figaro): un momento intoccabile, durante il quale i francesi si recano spesso in brasseries, poiché solo un quarto dei lavoratori si porta qualcosa da casa. Per concludere questa carrellata internazionale di pause pranzo particolari, in Cina si sta diffondendo il lunch nap, ovvero un riposino all’ora di pranzo, di circa mezz’ora, che sembra benefico per ritemprare i lavoratori e aumenterebbe anche la produttività. Lunga o corta, la pausa pranzo sembra un’abitudine destinata a durare, alla quale tutti sono affezionati e necessario per staccare gli occhi dal libro o dal computer e ritagliarsi un angolo di tempo.
Anna Colombo
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