Né dolcezza di figlio, né la pietà
del vecchio padre, né ‘l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore
(Dante, Inf XXVI, vv 94-99)
Il fatto che l’essere umano con i suoi sentimenti e le sue attitudini sia sempre stato tale lo dimostrano il Dante di otto secoli fa e l’opera omerica di ben trenta. L’uomo è fatto per rincorrere e cercare. Necessita di stimoli e incoraggiamenti, idee e spunti di riflessione. Più o meno ambiziosa che sia, la ricerca è nel micro di un programma per il sabato sera, tanto quanto nel macro di un progetto di vita.
Il periodo più bello dicono essere quello in cui ci si affaccia al mondo degli adulti: quel senso di libertà unito alle nuove responsabilità, protetto dall’alibi dell’essere ancora in fase di passaggio. È un momento in cui ci si lancia a capofitto in qualsiasi impresa, il più delle volte con esiti soddisfacenti, perché resta nel bene e nel male il segno di una nuova esperienza. Si insegue ogni novità come fa Alice col Bianconiglio: in assoluta incoscienza. E se fosse quell’incoscienza la chiave per aprire ogni porta e lasciare chilometri di corridoi liberi al transito delle occasioni? Se fosse quell’apertura mentale a rendere alcuni soggetti più o meno inclini al raggiungimento dei loro scopi? «No-stimolo, non-parti», ecco il primo step che distingue il soggetto determinato: la meta. Per quanto banale, avere ben chiaro quale sia il fine è lo “start” senza il quale nessun progetto è in grado, appunto, di partire. Domanda di rito: come ci immaginiamo tra trent’anni? Le categorie che da essa si generano sono solitamente quattro: gli ignari, che preferiscono non pensarsi da nessuna parte; i catastrofici, che sono certi di morire lungo il percorso; i sognatori, che si descrivono in ambienti e con persone che nulla hanno a che vedere con la loro vita attuale; e i pragmatici, che hanno programmato al dettaglio quando si sposeranno, con chi, quanti figli, quale impiego, busta paga, detrazioni, fondi pensioni, cassa di risparmio e lasciti testamentari. Ciascuna è un estremo, ma a dare coerenza sopraggiunge un vecchio detto: in medio stat virtus. Il pragmatico sognatore, ignaro del suo destino, ma catastrofico a sufficienza perché rimanga coi piedi per terra, è il Frankenstein ben riuscito di Mary Shelley. La capacità di comprendere in tempi acerbi le proprie attitudini è fondamentale per alzare la percentuale di possibilità che un certo progetto si concretizzi. Focalizzarlo, accettarlo, visualizzarne i possibili percorsi e porlo in essere: da quel momento il sogno inizierà a esistere e potrà iniziare il lungo processo di formazione che lo porterà dall’immaginario al reale, purché si mantenga una certa leggerezza nel viverne gli effetti.
Sarà vero che l’ardore di andare alla scoperta del mondo e dei vizi e delle virtù umane comporti delle necessarie rinunce? La risposta, innegabilmente, è sì. Ma non è forse vero che ogni cosa umana ne generi qualcuna? Giacché nel mondo esistono un’infinità di scelte, possibilità, prodotti, generi o stili, è assodato che ognuno scelga quali tra le cose proposte perseguire. La propensione all’una o all’altra, poi, verrà determinata dall’inclinazione che ciascuno sceglie o meno di assecondare. Il perseguire un proprio scopo non può, dunque, generare di per sé una rinuncia, piuttosto è da considerarsi come manifestazione di una personalissima caratteristica. Il fatto, ancora, che l’una o l’altra cosa possa essere giudicata più o meno giusta, etica o corretta, è, in realtà, il frutto di una soggettività. Così come sul figlio, il contadino e l’asino di Esopo si trovò sempre di che schernire, allo stesso modo di colui che porrà dinnanzi a sé una carriera si dirà che è arrivista e anaffettivo, e di colui che prediligerà gli affetti si dirà che ha scelto il fallimento. «Nulla è approvato da tutti» diceva lo scrittore a conclusione della sua favola e così, in fin dei conti, deve essere.
Il profilo del nostro determinato protagonista va disegnandosi riga dopo riga ed è quindi giusto chiedersi: quanto conta avere un sogno in un’epoca in cui esistono tutti i mezzi per realizzarlo, ma mancano numericamente le possibilità? Spesso l’eccessiva domanda e l’assenza di offerta generano disillusione in partenza, ma siamo tanti e altrettante sono le attività e i servizi di cui necessitiamo. Tutti abbiamo un ruolo, non perché così ci viene insegnato da generazioni, ma perché all’interno di un contesto sociale è necessario che esistano più ingranaggi affinché il sistema possa funzionare. Se viviamo un’era così confusionaria è anche perché abbiamo perso di vista la nostra utilità: è come essere all’interno di un gioco in cui ognuno ha una figurina con il proprio personaggio, ma scambiandole o smarrendole si finisce per generare il caos. Non vediamo la meta perché non è quella che siamo veramente inclini a perseguire. Ed ecco che manca la forza, la voglia e la capacità di completare un percorso. Capacità di comunicare, crearsi un’opinione e seminare stima sono tutti elementi essenziali, che si aggiungono alla costruzione di un profilo efficace, ma conoscersi rimane il pezzo più importante di un Frankenstein ben riuscito, cosicché non accada che «seguendo il sole ci si impedisca l’esperienza del mondo inesplorato (parafrasi Dante, inf. XXVI, vv 116-117)».
Benedetta Intelisano
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