Ecco elencate alcune delle conquiste femminili più importanti della storia della Repubblica, conquiste che, alla luce della concezione moderna, dovrebbero essere comunque riviste e riadattate perché non completamente raggiunte o assicurate.
Il 2 Giugno del 1946, in occasione del referendum sull’istituzione della Repubblica, il suffragio viene esteso anche alle donne maggiorenni che fino a quel momento non potevano votare, nonostante le pressioni di alcuni gruppi di protesta che spinsero per questo obiettivo. Movimenti come il Comitato Nazionale pro-suffragio femminile e personalità come Anna Mozzoni, pionera del femminismo italiano. Se in Italia le donne votarono per la prima volta nel corso delle elezioni amministrative del marzo e aprile 1946 e successivamente per il celebre referendum monarchia/repubblica, in Nuova Zelanda le donne votarono per la prima volta già alla fine dell’800, mentre in Inghilterra le suffragette ottennero il voto per le donne negli anni ’30 del ‘900.
Nel 1963 viene istituito il congedo matrimoniale e di maternità con la premessa che un licenziamento, per questi motivi, sarebbe stato oggetto di ricorso. Secondo una legge precedente, residuo del regime fascista, le donne potevano essere tranquillamente licenziate in conseguenza di una scelta di vita, senza alcuna tutela.
Il 1° dicembre 1970 il divorzio veniva introdotto nell’ordinamento giuridico italiano, nonostante l’opposizione di alcuni partiti forti come la Democrazia Cristiana. Queste forze antidivorziste si organizzarono l’anno successivo per abrogare la legge attraverso il ricorso al referendum. In Corte di Cassazione venne così depositata la richiesta di referendum da parte del Comitato nazionale per il referendum sul divorzio. Ne scaturì un aspro dibattito che animò gli italiani e che si tradusse nel referendum abrogativo sul divorzio. Gli elettori vennero chiamati a decidere nel 1974 e con una partecipazione totale dell’88% di italiani aventi diritto vinse il “no”, il divorzio rimase pertanto in vigore.
Nel 1978 l’aborto diventa legale con la famosa legge 194. Fino a quel momento le donne dovevano abortire clandestinamente, in condizioni spesso degradanti e pericolose. L’istituzione della legge fu anch’essa molto discussa e criticata dai più conservatori ma con la spinta dei movimenti femministi e forse di una certa aria di rinnovazione portata dal ’68, l’aborto fu possibile in tutti gli ospedali. Nel 2009 la pillola Ru486, più comune come “pillola abortiva”, facilitò l’operazione, evitando il raschiamento chirurgico. Sono passati anni dall’approvazione della legge e ancora oggi si assistono a fenomeni in cui la legge non funziona come dovrebbe. Esistono infatti numerosi obiettori di coscienza in materia, previsti comunque dalla 194. Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti e la regione dovrebbe controllare e garantire l’attuazione e la cura del paziente. Tale aspetto spesso non viene considerato e in alcune regioni l’aborto è impraticabile o quantomeno molto ostacolato. Secondo una ricerca del Ministero della Salute dello scorso anno, nel Molise sono obiettori il 93,3% dei ginecologi, il 92,9% a Bolzano, il 90.2% in Basilicata, l’87,6% in Sicilia, l’86,1% in Puglia, l’81,8% in Campania, l’80,7% nel Lazio e in Abruzzo. La 194, pertanto, avrebbe bisogno di qualche accorgimento a fronte di questi dati.
È il 1996 quando lo stupro diventa reato contro la persona e non contro la morale come era stato fin a quel momento. Questa differenza, apparentemente banale, è in realtà molto importante per comprendere il pensiero che aleggiava sulle vittime di stupro fino a quel momento. Prima dell’attuale Codice Penale, esisteva il Codice Rocco, elaborato e promulgato in pieno regime fascista. La parte più difficile da modificare era comprensibilmente quella dei diritti individuali. Soprattutto se legati alla famiglia e al ruolo della donna come madre e poco altro. Un modo per aggirare la pena, fino all’emanazione del riconoscimento legislativo della gravità dello stupro, era quello di ricorrere ad un semplice matrimonio riparatore.
Serena Borrelli
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