Paolo Sorrentino torna al cinema dopo l’Oscar 2014 al miglior film straniero a La grande bellezza con Youth – La giovinezza. Reduce da 15 minuti di applausi al Festival di Cannes, la critica lo ha accolto con favore, nonostante non gli sia stato dato nessun premio (stesse sorti sono toccate agli altri due film italiani in concorso). Le tre chiavi interpretative del nuovo film del regista napoletano sono passioni, desideri e fragilità.
Fred Ballinger (Michael Caine) e Mick Boyle (Harvey Keitel) sono due amici da moltissimo tempo e ora, ottantenni, stanno trascorrendo un periodo di vacanza in un hotel presso le Alpi svizzere. Fred, compositore e direttore d’orchestra famoso, non ha alcuna intenzione di tornare a dirigere un’orchestra anche se a chiederglielo fosse la regina Elisabetta d’Inghilterra. Mick, regista di altrettanta notorietà e fama, sta invece lavorando al suo nuovo e presumibilmente ultimo film per il quale vuole come protagonista la vecchia amica e star internazionale Brenda Morel (Jane Fonda). Entrambi hanno una forte consapevolezza del tempo che sta passando in modo inesorabile.
Formatosi tra tradizione e innovazione, quello di Sorrentino è un cinema, meravigliosamente ed equilibratamente, sospeso tra realismo e finzione. Inoltre, quello di Sorrentino è stato sempre un cinema di autore poco osservante e per niente sottomesso ai grandi movimenti e ai grandi autori, anche se si avverte in tutti i suoi film il fascino della contaminazione, della mescolanza di tante forme di cinema e di tanti maestri. Film dopo film il suo linguaggio diviene sempre più spoglio, sceglie l’arte del togliere, del levare.
Particolari in Youth – La giovinezza sono i movimenti di macchina da presa che esprimono i movimenti degli stati d’animo dei personaggi e cercano il contatto con le cose e con l’ambiente, con il paesaggio, per focalizzare meglio lo sguardo sui caratteri, sugli animi rivelatori: un rendiconto affettivo e sociale. C’è nella sua complessa architettura della rappresentazione dei sentimenti umani una netta e costante rinuncia del facile e del superfluo e una continua ricerca dell’essenziale. Il film non si racconta narcisisticamente o al contrario vittimisticamente, bensì si racconta come paradigma di una delle possibili condizioni umane ed esistenziali. Rispetto a La grande bellezza, qui si risente fortemente l’assoluto enigma dell’altro e la necessità di solidarietà tra le anime; il viaggio, nel tempo, nello spazio, dentro noi stessi. La “giovinezza” appare non fine a sé stessa, quanto piuttosto cartina al tornasole per smascherare il comportamento degli adulti, metterli di fronte alle loro insicurezze, le loro ipocrisie, ai loro dubbi al loro rimorso. Il bisogno di confrontarsi con il proprio passato e la propria storia. Nelle scene del film scorrono corpi spezzettati, frammentati dalla macchina da presa che ossessivamente li tallona, li bracca: occhi smarriti del protagonista nell’assenza, visi infreddoliti e attoniti, nuche “ostinate”. Visi in primissimo piano, che sorridono, di una allegria provvisoria, momentanea; che piangono di disperazione, quotidiana ed esistenziale. Rifuggendo il verosimile, oltrepassando gli oggetti e gli eventi, il film diviene luogo metaforico e reinvenzionale del reale. Infatti oltre la sua superficie opaca dell’agire dei protagonisti, avvertiamo in essi una fisicità non fine a sé stessa, ma piuttosto una pulsione di natura metafisica, che nasce dall’“assenza del mondo” che li circonda, il mondo come non-luogo, il luogo del nulla. Non a caso, nonostante sia ambientato nelle Alpi svizzere, sembra che l’ambiente circostante raramente si fa relazionale.
Come Rossellini, fino agli anni Settanta, così Paolo Sorrentino, oggi in Italia, è l’autore che meglio di chiunque altro riesce a far sentire ancora utile e vitale il cinema, nella sua peculiarità e profondità di linguaggio, nella sua capacità di intervento nell’affrontare i problemi degli uomini senza compromessi e semplificazioni, nel seguire strade nuove, poco battute, spesso più impervie, nel fregarsene, con intelligenza e orgoglio, delle cosiddette leggi del mercato. Cinema che si ricollega alle pagine più alte del passato ma che non smette di guardarsi intorno, rinnovarsi, alzare ogni volta un poco l’asticella della sfida, stare dentro le cose del nostro tempo per denunciarne le ingiustizie, contraddizioni, infelicità.
Enrico Riccardo Montone
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