Il più delle volte, problematiche al cinema sono le trasposizioni, utili alla comprensione da parte del pubblico, ma che, nel caso di romanzi e storie, possono costituire per lo più un equivoco. Il nuovo film di Robert Schwentke, Insurgent, cade fra gli altri in tale errore: il regista, infatti, conosciuto ai più per Fightplan – Mistero in volo (2005) e Red (2010), ha scelto una narrazione molto convenzionale per raccontare una storia in sé semplice. Il film è il sequel di Divergent del 2014 ed è la trasposizione cinematografica del romanzo Insurgent del 2012, scritto da Veronica Roth, secondo volume di una trilogia.
Ciò che manca al film è soprattutto la potenza narrativa: infatti, possono essere riscontrate diverse lacune a livello della storia raccontata. I vari parallelismi con il primo film denotano una certa mancanza di idee, così come tutta la prima ora, che racchiude numerosi cliché young adult. Prima ancora che sul piano delle idee è, però, su quello della forma che Insurgent crolla. Incapace di immaginare un futuro accattivante, affianca tutine aderenti ai resti della nostra civiltà, mette i personaggi in una Chicago distrutta ma li dota di armi dal grottesco design futuristico (che somigliano a grossi fucili ad acqua) e, in un’accozzaglia molto poco coerente di ribellismo e sentimentalismo (in cui il primo contemporaneamente giustifica e ostacola il secondo), perde credibilità ogni minuto che passa. Gli attori, d’altra parte, sembrano recitare secondo registri propri e in stanze separate gli uni dagli altri: da Miles Teller a Shailene Woodley (poco adatta in un ruolo d’azione) fino a Theo James e Ansel Elgort (rispettivamente l’amato Quattro e il fratello Caleb). Nessuno di loro sembra rendere onore appieno ai propri tempi attoriali, a causa di una sceneggiatura che non lascia molto spazio ai dialoghi. Le uniche eccezioni sono rappresentate da Kate Winslet e Naomi Watts, rispettivamente Jeanine Matthews e Evelyn Johnson.
L’obiettivo non dichiarato sembra quello di replicare il successo dei Divergent. Sfortunatamente, la pellicola risulta nettamente inferiore a quella precedente. Questo genere di film propone (o dovrebbe proporre) un’evasione dalla realtà rispetto a quella “vera e cruda” che potrebbe presentare un regista di impegno sociale. L’evasione dall’attualità è evasione dalla monotonia del quotidiano, da un panorama che forse lo spettatore percepisce come negativo. Nel complesso, invece, questo è un film che fa fatica ad andare avanti ed arranca, un po’ troppo lungo, lasciando un senso di vuotezza, incompiutezza e relativa evasione.
Enrico Riccardo Montone
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