Gli ultimi due decenni e mezzo sono stati inequivocabilmente segnati dalla diffusione sempre più capillare di Internet e delle tecnologie ad essa legate. Le persone hanno sempre maggiore di bisogno di queste tecnologie: le fanno sentire parte di una sfera apparentemente onnicomprensiva ed inclusiva, che dovrebbe garantire uguaglianza, informazione, un certo tipo di diritti. Questo non è vero, perlomeno non sempre. I problemi nascono già quando si parla di accesso. Alcuni Paesi sono rimasti indietro, alcuni altri sono stati tagliati fuori dal progresso tecnologico, diventandone solo le discariche. C’è una grande mobilitazione per questo tema, ma ancora una volta si rischia che l’accesso, per i Paesi in via di sviluppo, abbia il limite della libertà: se compagnie come Facebook forniscono l’accesso a Internet, sarà solo per i propri servizi o per tutti quanti? La libertà della Rete e delle persone in questo caso si sovrappongono, provando la necessità di interventi da parte di istituzioni nazionali e sovranazionali ad accompagnare quelli di compagnie private, probabilmente armate di buone intenzioni, ma necessariamente volte al profitto.
Alcune aziende hanno invece cercato di democratizzare l’accesso ai contenuti conservando la tutela del diritto d’autore. Stiamo parlando di Spotify e di Netflix, che hanno rivoluzionato la fruizione nel mondo dell’audiovisivo. Spotify è un servizio che permette di ascoltare musica gratuitamente o dietro la corresponsione di un abbonamento mensile, pagando o meno il “dazio” della pubblicità. Gli accordi presi con le case discografiche di tutto il mondo mettono a disposizione degli utenti una quantità impressionante di pezzi e di autori in maniera del tutto legale. La musica infatti non viene scaricata: l’utente non entra mai in possesso del file, può solo ascoltarlo. Questa peculiarità non è ancora stata violata da nessun hacker.
Netflix fa più o meno la stessa cosa, ma riguarda i contenuti video: propone una quantità enorme di film, serie TV, documentari e reality. Non è prevista una formula gratuita, però. Dopo il primo mese, per continuare a godere dei contenuti, è necessario sottoscrivere un abbonamento, il cui costo è decisamente abbordabile. Il mese gratuito è una vera e propria “trappola”: una volta abituati a guardare una puntata dopo l’altra, pochi non acconsentono a sostenere quella piccola spesa. Il bello di tutto questo è che, come sottolineavamo, è perfettamente legale e permette agli autori di ricevere un compenso per il loro lavoro, spesso trascurato nell’era del download selvaggio e indiscriminato. Legale è meglio, nel resto del mondo l’hanno capito quasi tutti e se la banda larga ci sosterrà anche in Italia potremo comprenderlo.
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