È andata via silenziosamente Laura Antonelli, lontana da tutti nella sua casa di Ladispoli. Incarnazione, a un tempo, di sensualità e spiritualità, non ha mai offerto un’idea diversa di sé, neanche quando il suo patrimonio genetico ed espressivo veniva sottoutilizzato da, seppur bravi, maestri del cinema. La sua voce era leggermente rauca e intrisa di malinconia, e la sua falsa ingenuità aveva fascino conturbante. Il proprio vero addio l’attrice divenuta celebre con il film Malizia lo aveva già dato a tutti nella notte del 27 aprile 1991, quando nella sua villa di Cerveteri vennero trovati 36 grammi di cocaina, con i quali si è messa fine alla sua luminosa carriera.I suoi esordi sono stati nella pubblicità (colei che beveva la Coca Cola in alcuni Caroselli datati primissimi anni ’60), poi sono seguiti piccoli ruoli in alcune pellicole, a cominciare da Il magnifico cornuto di Antonio Pietrangeli (1964) e Le sedicenni di Luigi Petrini (1965). La sua prima grande occasione le è poi stata data dal regista Massimo Dallamano, che l’ha scelta nel 1969 come protagonista di Venere in pelliccia, ispirato al romanzo di Leopold von Sacher-Masoch. L’anno della svolta è stato, però, il 1973: questa volta, il film è quel Malizia di Salvatore Samperi che la lancerà come icona sexy del bel Paese, come immaginario erotico di un’intera generazione di uomini. La produzione, campione d’incassi con 6 miliardi di lire, è diventata un vero cult movie, regalando all’Antonelli il Nastro d’Argento alla migliore attrice protagonista.
Davanti alla macchina da presa, Laura sublimava la bellezza femminile rendendola forza assoluta e invincibile, nonché rafforzando il mistero e l’incanto di una bellezza autentica, tipicamente italiana e premurosamente naturale. Era la sua innata delicatezza a coinvolgere il pubblico e la sua bellezza più intima rendeva tutto profondamente erotico. Eppure, la Nostra amava schermirsi, sebbene consapevole del suo immenso sex appeal: «Sono bassina, un po’ rotondetta e ho le gambe piuttosto corte: chissà perché piaccio?». A partire dagli anni Settanta in poi, sono aumentate sempre più proposte cinematografiche con registi importanti: Claude Chabrol (Trappola per un lupo, dove Laura ha conosciuto Jean-Paul Belmondo, con il quale ha poi intrapreso una tormentata relazione); Dino Risi (Sessomatto); Luigi Comencini (Mio Dio, come sono caduta in basso!); Giuseppe Patroni Griffi (Divina creatura, nel quale appare interamente nuda in una scena così lunga da battere qualsiasi record dell’epoca). Poi, è la volta di Luchino Visconti (L’Innocente), Mauro Bolognini (Gran Bollito) ed Ettore Scola, nonché di una interpretazione in Passione d’amore che ha permesso la candidatura dell’attrice al David di Donatello.
Gli anni Ottenta sono corsi via con svariate commedie, sempre di filone erotico. Poi, è arrivato il 1991: la star aveva cinquant’anni e sperava nel rilancio grazie al remake di Malizia, tanto che ha accettato di farsi iniettare sotto la pelle del viso un ritrovato venduto come elisir di giovinezza, per cancellare i segni di quel mezzo secolo vissuto con forza e assecondare, così, i ricatti del cinema, il quale pur di farla lavorare ancora la voleva identica a vent’anni prima. I lineamenti dell’attrice sono risultati, però, alterati, deformati per sempre, e il film è stato un flop. La notte del 27 aprile di quell’anno i carabinieri hanno arrestato la Antonelli e l’hanno condotta nella casa circondariale di Rebibbia. In seguito c’è stata la condanna in primo grado a tre anni e sei mesi di carcere per spaccio di stupefacenti. Solo nel 2000 la Corte d’Appello di Roma l’ha finalmente assolta dall’accusa, ma troppo tardi: la dea Laura Antonelli non esisteva più, al suo posto c’era Laura Antonaz, quasi una barbona di 100 kg, trasformata dall’alcol e dagli psicofarmaci, ormai residente in un abisso di povertà e solitudine.
Nonostante tutto, Laura Antonelli è stata la più alta interprete delle pulsioni vitali femminili (e non solo), mai scaduta nella volgarità dei costumi e del consumismo. I pensieri lussuriosi e le scene di irrefrenabile carnalità nelle quali lei si mostrava palesavano una sfera personale, svelando sensazioni forti e travolgenti. Il sesso era vissuto nella sua totalità di insostituibile desiderio e non nella vaghezza di un’abitudine ricreativa cui oggi, forse, siamo già assuefatti. Della grande attrice mancherà, probabilmente, più di tutto la capacità di essere come altre non sono.
Chiara Grasso
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