In sala i primi commenti degli spettatori non si differiscono gli uni dagli altri. Daniel Day-Lewis magistralmente sparisce sotto le vesti del 16° Presidente degli Stati Uniti d’America, Abraham Lincoln. È evidente l’attenzione che il regista Steven Spielberg ha avuto per i particolari. Il trucco rende Day-Lewis identico a Lincoln; l’attore riproduce lo stesso passo claudicante del Presidente allorché l’ufficio di quest’ultimo, nel quale si svolgono prevalentemente le scene, è stato arredato esattamente come l’originale. Lo scenario è stato quindi progettato allo scopo di rendere ancora più evidente la maestosità non solo fisica, ma anche intellettuale e ideologica di Lincoln. Candidato a 12 Premi Oscar, ma vincitore solo dell’Oscar come miglior attore protagonista per Day-Lewis e come migliore scenografia, il film non è stato risparmiato dalle polemiche. Una, forse la principale, quella mossa dal deputato del Connecticut, Joe Courtney, il quale ha dichiarato al Washigton Post, che Spielberg ha commesso un “errore storico”. Nel film, infatti, si vedono due deputati eletti in Connecticut votare contro l’abolizione della schiavitù; in realtà tutti e quattro i membri del congresso, rappresentanti lo Stato del Connecticut, votarono a favore. Certo non si può negare però che sia uno dei migliori film del 2012 e uno dei migliori film, in generale, del grande Spielberg. L’idea di portare sullo schermo la vita politica e privata del celebre Presidente nacque nella mente del regista dopo aver letto Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln, un libro della scrittrice Doris Kearns Goodwin, pubblicato nel 2005. Spielberg ci catapulta nella vita di un uomo per il quale ogni parola aveva il suo peso. Il teatro della Guerra di Secessione non è il campo di battaglia, ma il dietro le quinte, cioè la Camera dei Rappresentanti del Governo americano, costituita da chi potrebbe essere considerato l’ispiratore occulto di quella guerra civile. Nulla viene nascosto allo spettatore: i vari ruoli di Lincoln, quelli di padre, marito e politico, si sovrappongo spesso in una stessa scena piacevolmente. Non vengono celate le sue vulnerabilità e le sue incertezze. Questa può essere considerata la forza della pellicola, l’aver rappresentato Lincoln integralmente. Guardando il film, concentrandosi su Lincoln statista, non sconvolgono certo le strategie e i giochi della politica. Non stupisce che alcuni componenti del Governo siano stati corteggiati minacciosamente da coloro i quali erano contrari al XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America. Tale provvedimento abolì e continua ad abolire la schiavitù e proibisce i lavori forzati. Si ha quasi l’impressione, a proiezione conclusa, che sia stato profondamente naturale per Abraham Lincoln, tra un bollettino di guerra e l’altro, andare contro consuetudini, scorrette e disumane di certo, ma condivise dalla maggioranza della popolazione degli USA; e che sia stato naturale lottare affinché, come disse lui stesso alla fine del Discorso di Gettysburg, «[…] l’idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra».
Federica Pace
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