SIRACUSA – Danao ed Egitto, figli di Belo, re d’Egitto, entrano in conflitto. Il primo è padre di cinquanta figlie e il secondo di cinquanta maschi che vogliono prendere in spose le figlie di Danao. Tuttavia, Danao e le figlie rifiutano il matrimonio e fuggono su una nave che li porta ad Argo, patria della loro progenitrice Io. I Pelasgi occupanti l’Argolide accettano di dare asilo ai fuggitivi e respingono un tentativo degli Egizi, sopraggiunti a propria volta, di impadronirsi delle cugine. Come anticipato alla fine dell’opera dal cantastorie, nelle tragedie successive che completano la trilogia (Supplici, Figli di Egitto e Danaidi), e di cui ci sono pervenuti solo pochi frammenti, Danao è costretto a cedere e le nozze si celebrano; però, la stessa notte ognuna delle figlie, su ordine del padre, sgozza il proprio marito. Una sola delle Danaidi, Ipermestra, risparmia lo sposo Linceo. Dall’unione tra Ipermestra e Linceo discende la dinastia dei re di Argo e da quel giorno i Pelasgi vengano chiamati Danai.
Le Supplici di Eschilo, nell’adattamento registico di Moni Ovadia e rappresentato al Teatro Greco di Siracusa durante la stagione di tragedie classiche 2015, si rivela un esperimento linguistico che incrocia dialetto siciliano e greco moderno. «Sono certo che Eschilo pensava a una grande cantata quando scrisse Le Supplici. Il ruolo centrale del coro, le continue invocazioni, i lamenti, le preghiere e le suppliche a Zeus e al Re di Argo per ottenere pietà e asilo, fanno immaginare una grande partitura di voci e ritmi, di sospiri e di gemiti all’interno dei quali si innestano le voci a parte degli altri personaggi come Danao, Pelasgo, la Corifea e l’Araldo Egizio. Per ottenere una cantata in cui la parola intonata potesse essere al centro del discorso musicale, abbiamo scelto infatti due lingue che per propria natura sono insieme ritmiche e melodiche: il siciliano e il greco moderno», spiega Mario Incudine, attore e compositore dell’opera. «Ho inoltre ritagliato per me il ruolo del cantastorie, una figura centrale in tutto il teatro popolare e in tutta la poesia cantata» continua.
«I nostri dialetti conservano il carattere esplosivo, il carattere sonoro, la gioia dell’invenzione dell’espressione. Ho pensato a questo in omaggio a Eschilo che ha lavorato in Sicilia al punto da guadagnarsi il titolo di antropos sikelos. Ma non è una recitazione, quanto una resa in musica, una cantata. Sono Supplici musicali, nei ritmi del cuntu come anche nei metri greci e nei modi musicali greci», afferma il regista e interprete Moni Ovadia, che privilegia una vocazione antropologico-musicale. Nel pensare a un allestimento dell’opera, la costumista Elisa Savi ha cercato, dal canto proprio, soluzioni le quali, pur attualizzando il testo, non ricorressero a modernismi ormai abusati, distinguendo in modo chiaro i tre mondi che nell’opera si confrontano: quello africano delle Danaidi, quello degli Egizi e quello dei Greci. Le soluzioni che ha adottato si basano, in effetti, su una netta definizione cromatica, stilistica e culturale delle tre realtà: colori forti, definiti, tessuti con disegni arcaici, abiti e accessori tribali contaminati da elementi di cultura contemporanea a sottolineare la femminilità delle Danaidi. Colori cupi, linee dure e dettagli aggressivi per gli Egizi, esecutori di una violenza ottusa, decisi a ottemperare gli ordini di padroni spietati e maschilisti. Una gamma di sfumature di azzurri e di blu per esprimere il mondo dei Greci di Argo, sostenitori dei principi dell’accoglienza e dei diritti. È, quindi, un opera sull’immigrazione e sull’ospitalità, due temi forti e attuali nella Sicilia di questi ultimi tempi. Infatti, i tre mondi della tragedia, così diversi e lontani, sono costretti al confronto, sollecitati a trovare delle soluzioni di coesistenza e rispetto reciproco. Anche Incudine, durante la composizione delle musiche, ha pensato alla grande attualità dell’opera di Eschilo, al valore dell’accoglienza e all’arricchimento culturale che rappresenta la contaminazione con l’altro. Da qui l’idea di mescolare le sonorità proprie del mondo popolare siciliano fatto di cantate a la stisa e di cunti, con le “altre musiche” che provengono dall’altro lato del mare e soprattutto dai barconi pieni di migranti.
CAST
PERSONAGGI E INTERPRETI:
Alessandra Munafò (articolo e photogallery)
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