Il format delle web series è nuovo, ma si presta a diventare un successo: nella società attuale, dove tantissimi video vengono trasmessi tramite Internet, sapere di poter guardare la propria serie preferita su YouTube, in qualsiasi luogo e momento, ne rende più semplice la fruizione. Like Me, Like a Joker è uno dei primi prodotti web di questo genere che, con le sue oltre 10.000 visualizzazioni, sta spopolando. Bruno Mirabella, ideatore, sceneggiatore e regista della serie, ha spiegato ai lettori di Voci di Città il suo capolavoro.
Perché hai scelto come argomento la storia di Batman? Quali sono i punti in comune tra Catania e Gotham City? Ci sono riferimenti a fatti di cronaca?
«Il tema principale della mia web series è la follia: una volta i pazzi erano visti come coloro che riuscivano a vedere sempre ciò che gli altri non vedevano e, per questo, erano ritenuti saggi. L’immagine iconica che ho voluto utilizzare, pertanto, è Joker perché assomiglia moltissimo ai pazzi così rappresentati. Ho scelto la storia di Batman affinché potessi rendere più chiaro il personaggio che, altrimenti, non lo sarebbe mai stato senza il contesto e le vicende riguardanti gli altri protagonisti. L’universo dell’uomo pipistrello, insomma, era l’ideale. Il progetto è nato nel 2009, all’inizio come corto teatrale; poi, anche grazie alla congiunzione con persone che avevano la mia stessa visione, è diventato una web series. La compagnia teatrale con cui ho realizzato il progetto, infatti, è la Burattini senza fili, fondata dal sottoscritto circa 10 anni fa e che ha portato al termine anche altri progetti, come Sulla soglia del 2009 e vincitore del Sebastiano Tosto, importante premio di Acireale. Riguardo alla location principale di Like Me, Like a Joker, trasformare Catania, città barocca, in una Gotham City gotica, non è stato molto facile. Il barocco donatoci dagli spagnoli è pesante nella sua architettura e, nonostante questa sua pesantezza, non abbiamo faticato notevolmente, anzi, ci ha facilitato la ricerca degli spazi che potessero impersonare i luoghi di Batman: il Teatro Massimo Bellini, però, grazie alla sua enorme somiglianza con i teatri americani, si prestava bene come migliore set dove rappresentare la morte dei Wayne; l’ospedale San Luigi, per la sua architettura, come anche quella dell’ospeade Garibaldi nuovo, hanno incarnato benissimo Arkham; l’Etna l’abbiamo utilizzata per inscenare il piccolo villaggio che diede le origini al Pinguino, unendo in questo modo la visione di Tim Burton e quella classica dei fumetti; alcuni luoghi abbandonati della zona industriale,come alcune acciaierie, son serviti poi per inscenare il combattimento di Gordon contro un personaggio del passato. La Sicilia, insomma, si presta parecchio in fatto di aree cinematografiche e, per l’appunto, necessitava soltanto di qualche adattamento. In passato, con la mia compagnia Burattini senza fili, ho fatto teatro civile e di narrazione con fatti di cronaca, ma all’interno di questa serie non vi sono circostanze del genere; la storia che abbiamo portato in scena è vista da tutt’altro punto di vista. Ciò che si potrebbe scorgere negli episodi sono, per lo più, la decadenza, la morte dei valori e la rinascita: nella vita siamo tutti vittime della crisi e, con il mio voler raccontare una storia, ho fatto sì che chi guardi possa trovare qualcosa in cui potersi rispecchiare. Preferisco definirmi un cantastorie».
Diversamente dal Batman originale, la trama si sviluppa all’interno di un ospedale psichiatrico. Vorresti raccontarcela meglio?
«La web series è composta da dieci episodi. Il progetto originale ne comprendeva otto, ma il sopraggiungere di nuovi partecipanti, mi ha permesso di espanderne il numero. L’episodio pilota, che solitamente dovrebbe appassionare gli spettatori, l’abbiamo creato come fosse una puntata zero, facendo partire la trama dalla seconda puntata in poi. La trama di Like Me, Like a Joker si svolge all’interno di Arkham. In realtà è la storia della dottoressa Harley Quinzel, il cui racconto serve a chiarire il passaggio dalla normalità alla follia della stessa, che in seguito diventerà Harley Quinn, il braccio destro di Joker. La luminare, qui, ha due guide: la prima è Joker, mentre la seconda il suo assistente, Horace, personaggio inventato per l’occasione e che in Batman, ovviamente, non esiste. Oras diverrà per la donna una sorta di Virgilio nella bolgia infernale di Joker, rappresentando quella razionalità che la spingerà a prendere con più cautela le proprie scelte. A un certo punto, infatti, Harley Quinzel dovrà decidere se continuare a svolgere la professione di medico psichiatra o diventare come i pazzi che ha sempre curato. La follia pervade e muove tutta la serie. Ciliegine sulla torta saranno gli intrighi di potere di Arkham. Ho capito che introducendo più tematiche allo stesso tempo sarei riuscito a non annoiare il pubblico».
Come me, come un Joker lascia presupporre che la pazzia, così come pervade la mente di Joker, sia in realtà un qualcosa che investe le persone comuni. È questo il senso del titolo?
«In realtà, a me il titolo venne in mente ancor prima che fosse pubblicato il trailer del film Il cavaliere oscuro di Nolan, pellicola che contiene la celeberrima battuta, riferita da Joker a Batman, “Tu sei un pazzo come me”. Queste parole furono quasi profetiche. All’inizio la serie doveva chiamarsi soltanto Like Me, ma in seguito modificai il nome in Like me, Like a Joker per far intendere dove volessi andare a parare. A mio giudizio, la follia è insita nella mente umana, è necessaria una brutta giornata per “premere l’acceleratore” e far sì che venga immediatamente fuori. I personaggi di Batman (Pinguino, Poison, Cat Woman, Harwey Dent e la stessa dottoressa Quinzel) hanno tutti subito una fase di transizione, tanto nel bene quanto nel male, diventando affascinanti, compreso lo stesso Batman: Bruce Wayne è morto in quel vicolo dove sono stati uccisi i suoi genitori e, in quello stesso momento, è nato l’eroe. Mi cattura la storia di Bruce Wayne bambino perché mi consente di capire in che modo e, attraverso quali processi, possa avere abbracciato “l’oscurità” per combattere la malavita».
Il simbolo della tua web series sono le carte francesi. Come mai?
«Le carte sono l’origine di molte cose a Gotham City. Nello stabilimento dove vi era la vasca di acido in cui cadde Joker, sfigurandolo, si producevano, appunto, le carte. La prima sigla della serie sarà presto accompagnata da una seconda. Stavolta, sarà possibile vedere una pioggia di carte che investe il mondo e lo ricopre, con sotto la torre di Arkham. Secondo me e chi ha lavorato e sta lavorando a questo progetto, la strada tra il bene e il male è la follia; la pioggia di carte che investe il mondo la rappresenta al meglio. L’altra motivazione che mi ha spinto a scegliere il simbolo delle carte da gioco è che raffigurano il matto nei tarocchi: accompagnato dal numero zero, rappresenta l’origine di ogni cosa e la perfezione. Considerando che nella mitologia il matto trae vantaggio dal distacco con la divinità, la metafora è espressa nei termini di un uomo che diviene artefice e padrone del proprio destino».
Sappiamo che hai vinto il Rome Web Awards. Da dove è nata l’idea di partecipare al concorso e cosa hai provato quando hai saputo della vittoria? Prossimamente, intendi cimentarti in qualche altro progetto?
«Stavo seguendo con tutti gli altri la premiazione e, quando ho saputo della vittoria, la felicità è stata incontenibile. Vincere ha significato la grande ricompensa al lavoro svolto dalla compagnia. Ci tengo a sottolineare che non abbiamo riscosso alcun finanziamento e sapere di aver riscontrato non solo il parere favorevole del pubblico, ma anche della giuria del concorso, ci ha risarcito nel migliore dei modi. I premi ricevuti sono stati: Migliore regia – Bruno Mirabella; Migliore sceneggiatura – Bruno Mirabella; Migliore attore – Salvo Cosentino, l’interprete di Joker nel poster creato dalla nostra grafica Stefania Galazzo, grazie al quale abbiamo vinto anche il Premio poster. Insomma, la premiazione ha riguardato tutta la troupe e il cast, soprattutto i ragazzi che si sono affidati ciecamente a me, lasciandosi guidare in questo percorso. Al momento, abbiamo inviato la nostra candidatura anche al Melbourne e al Miami WebFest. Il mio obiettivo è concludere la storia, portando a termine la serie. In futuro, mi piacerebbe trasporre alcuni romanzi fra quelli che ho scritto e pubblicato negli ultimi anni. Il format della web series, benché sia completamente nuovo, possiede già molti sostenitori: per il mio prossimo lavoro, che realizzerò sempre con la compagnia teatrale Burattini senza fili, abbiamo intenzione di avviare un progetto “crowdfunding”, chiedendo aiuto alla comunità. I soldi che ne ricaveremo, verranno utilizzati indistintamente per la produzione degli spettacoli».
Anastasia Gambera
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