A una settimana dall’attentato a Le Bataclan, il teatro parigino dove si stavano esibendo gli Eagles of Death Metal, i musicisti, nonostante i tragici fatti, non si fanno intimorire. La speranza dei giovani passa attraverso la musica, anche se per i fanatici dell’Islam tutto ciò è “haram”, proibito. La scena punk rock islamica (e non solo) alza la testa e si ribella al messaggio dei fondamentalisti.
Per una certa interpretazione – distorta – dei fondamentalisti, la sunna, il codice di comportamento islamico, affermerebbe che «la musica corrompe le menti della nostra gioventù. Non vi è differenza tra musica e oppio. Entrambe, ognuno a modo suo, creano una sorta di ottundimento dei sensi. Se volete che il vostro Paese sia indipendente, allora bandite la musica, come un tradimento per la nostra nazione e per la nostra gioventù».
E ancora: «Il Profeta ha detto che Allah gli ha ordinato di distruggere tutti gli strumenti musicali, gli idoli, le croci e tutti gli altri vessilli di ignoranza». Oppure, ancora : «Allah potente e maestoso mi ha inviato come guida misericordiosa presso i fedeli e mi ha ordinato di fare in modo che si sbarazzassero di strumenti musicali, flauti, archi, crocifissi e di tutto ciò di cui si circondano quando, prima dell’Islam, vivevano nell’ignoranza. Nel giorno della resurrezione Allah verserà piombo fuso dentro le orecchie di chiunque sieda ascoltando musica».
Tutto ciò dunque per i militanti dell’ISIS rappresenta l’haram: il proibito. Queste malsane interpretazioni hanno portato ad un orrore inimmaginabile, quello di morire mentre si ascolta un gruppo musicale, quello di morire mentre si sperimentava quella sensazione sempre più rara di sentirsi uniti agli altri che è spesso possibile grazie all’alchimia della musica. Ma quest’ultima ha un grandissimo potere: salva molte vite e si carica di significati importanti. Movimenti talvolta complessi e difficili da decifrare come il punk (il cui nichilismo ha come target di distruzione solo quella parte di società che ti vuole allineato) arriva a influenzare anche i ragazzi musulmani che non accettano l’associazione della parola haram con la musica.
La scena musicale musulmana è davvero florida. Negli Stati Uniti, a Boston, ci sono i Kominas: il loro nome significa “bastardi”, in lingua punjabi, poiché creano miscellanee fatte di suoni aspri, funk e musica stile Bollywood. Inoltre, in Pakistan hanno un progetto parallelo che hanno chiamato Dead Bhuttos . A Chicago troviamo gli Al-Thawra, che in arabo vuol dire «La rivoluzione» e suonano heavy metal. Il punk rock, invece, viene suonato in Canada da I Secret Trial Five.
I punk in salsa islamica definiscono il loro stile musicale taqwacore, un misto tra la parola taqwa che significa “pietà (ma anche timore) di Dio”, e hardcore, per sottolineare la durezza dei suoni. Il neologismo è stato inventato dal giornalista e romanziere Michael Muhammad Knight, un giovane convertito all’Islam, che nel 2003 ha scritto il libro The Taqwacores (pubblicato in Italia per Newton Compton con il titolo Islampunk). Questo libro è presto diventato il manifesto del movimento punk islamico. Qualche anno dopo, tra il 2007 e il 2009, il regista Omar Majeed ha giraro il documentario Taqwacore: The Birth of Punk Islam, seguendo le scene musicali taqwacore tra Stati Uniti e Pakistan.
Grazie a Internet, oggi questi gruppi possono comunicare con il mondo e organizzare tournée. «Il profeta Maometto parlava solamente di distruggere gli idoli e cosa c’è di più punk rock di questo?» scriveva Michael riferendosi al proprio romanzo. Ma per i punk musulmani, in realtà, non esistono schieramenti. Per loro, la musica dovrebbe essere semplicemente un sinonimo di libertà, come lo è per il mondo intero. La repressione del terrore che si sta combattendo oggi ai loro occhi viene vista come una guerra tra Occidente e Medio Oriente. Kourosh Poursalehi, 27 anni, in arte Vote Hezbollah, spiega, indossando con spirito punk una canottiera con l’immagine dell’ayatollah Khomeini: «Non sto scegliendo una parte per cui tifare, perché per me sono entrambe sbagliate».
Da tanto tempo oramai, in Pakistan come in Afghanistan, i talebani attaccano musicisti e negozi di dischi: come avvenne nel 2008, quando il capo militare Abdullah Mehsud (29 anni) che controlla il Waziristan, una regione montuosa nel nord-ovest del Pakistan, obbligò tutti i negozi di musica e video a chiudere. Ma la gente non smetterà mai in nessun paese del mondo di suonare o di riunirsi. «Rock and roll will never die», così cantava Neil Young: la musica rock, come sempre ha fatto nella sua storia, accetta la sfida di andare anche stavolta contro l’haram. Perché il rock celebra la vita e non la morte. Perché il rock celebra la libertà di espressione, conditio sine qua non l’uomo non potrebbe chiamarsi tale.
Chiara Grasso
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