Jimmy Page, Robert Plant, Mick Jagger, Keith Moon, Jim Morrison… Sono tantissimi i nomi delle rockstar ambite dalle donne più cool in circolazione negli anni ’60: le groupie. Ragazze giovanissime, amiche, muse, fan e amanti che inseguivano i loro idoli in tutto il mondo. Tra tutte, la groupie più famosa della storia del rock ‘n’ roll è Pamela Des Barres che ha già scritto il suo secondo libro dal titolo Let’s spend the night together, come la celebre canzone dei Rolling Stones. Il suo primo libro I’m with the Band – Confessioni di una groupie ha riscosso tanto successo perché racconta in prima persona chi erano le groupie negli anni ’60 e ’70. Persino minorenni, le groupies lasciavano la famiglia per partire in tour con cantanti, batteristi, chitarristi acclamati in tutto il mondo. Erano donne in pieno fermento, delle rivoluzionarie che vivevano soltanto per la musica e l’arte. Linda Keith, Bebe Buell, Cynthia Plaster Caster, Angela Bowie, Courtney Love, giusto per citarne alcune che fecero perdere la testa a Mick Jagger, Iggy Pop, David Bowie, Edie Sedgwick, Jimmy Page e tanti altri. Basti pensare che Sable Starr iniziò la sua carriera agganciando Iggy Pop; mentre Lori Maddox, (o Lori Lightning) girava con David Bowie a 13 anni, passando poi a Jimmy Page all’età di 14.
Per queste ragazze i giorni erano sempre una scoperta continua, la notte era fatta per saltare da un motel all’altro, per ascoltare concerti, per seguire lezioni di ballo; insomma, la loro vita non era mai monotona. Le rockstar adoravano queste donne selvagge, aiutandole soprattutto a vestirle e anche a mantenersi economicamente: erano le loro guardie del corpo. Secondo Gail, una groupie divenuta poi la moglie di Frank Zappa: «La musica era l’altare, i musicisti erano gli dei e le groupies le più alte sacerdotesse». Con il passare degli anni, però, il termine groupie ha assunto un significato dispregiativo, perché molte di loro non ambivano più ad inseguire la rock-star per interessarsi alla musica e all’arte, ma soltanto per una questione di sesso. Questo fenomeno degli anni ’60 oggi non esiste più e se le grandi rockstar di un tempo oggi vanno in giro senza scorta o soltanto da grossi bodyguard è perché la donna ha scelto altro, o forse perché la grande fama che si ha adesso, attraverso una vasta rete di contatti, non è la stessa di un tempo.
Ma qual era lo stile della groupie? E perché a tutt’oggi vengono considerate delle vere icone di stile? Basta osservare, ad esempio, le groupies di Sunset Strip (esplose a cavallo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70). Con la loro lingerie super colorata, le loro zeppe, i boa piumati al collo, i gioielli, i top attillati, le maglie a rete color fluo, gli hot pants dorati e le gonne cortissime, queste ragazze facevano di tutto per essere notate tra la folla di un concerto, nella hall del Continental Hyatt Hotel o appoggiate a una limousine. Esse diedero un notevole contributo a quello che fu lo stile denominato flower power, arricchendolo con mille sfumature: fanciulle sognanti indossavano abiti che odoravano di fiori, di libertà e di eterna fanciullezza. Andavano fortissimo anche mini abiti o maxi tuniche fiorite, pantaloni e short dalle stampe eccentriche, cappelli stravaganti, pellicce. Tutto era magico, stimolante e creativo. Per questo molti stilisti, modelle e attrici si ispirano ancora oggi a queste figure ormai diventate “muse” anche nel mondo della moda.
Circolava poi, durante gli anni ’70, un magazine dal nome Star che era una sorta di guida allo stile groupie: «Sable indossava un cappello nero sulla sua chioma biondo naturale […] e un colorato kimono in stile giapponese con degli spacchi che mostravano una veste di paillettes e la mutanda di un costume nero con un paio di reggicalze rosso acceso», si legge in un articolo intitolato Sunset strip groupies:Who, What, When & How!
La figura della groupie, anche se spesso veniva vista solo come una semplice arrivista, una donna con pochi valori e poche velleità, in realtà era mossa da ragioni completamente diverse. Ciò che la spingeva ad essere ribelle e alternativa era l’ amore viscerale e profondo per la musica. Per citare il film Almost Famous: «quando ami talmente tanto una singola canzone o un intero gruppo da starci male, è questo che ti fa decidere di intraprendere quella strada, e spesso non c’è ritorno».
Barbara Di Benedetto
Chiara Grasso
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