Emanuele Ammendola è un cantautore e musicista poliedrico che ha dato alla luce un nuovo progetto, l’album intitolato Migrà. Voci di Città l’ha contattato per un’intervista, per conoscere a fondo la sua storia e la sua passione per la musica.
Verace ed esplosivo proprio come la sue origini napoletane, Emanuele Ammendola è un artista pieno di progetti e iniziative che parlano della sua storia. Nasce a Napoli ma ha vissuto da sempre a Somma Vesuviana, da ragazzo si è diplomato in contrabbasso classico al Conservatorio di Napoli San Pietro a Majella, da lì in poi continua a coltivare la sua grande passione per la musica. Contemporaneamente agli studi classici, si innamora del jazz, del pop e del canto. Inoltre, nell’artista nasce anche un grande interesse per la world music, originata dalla musica popolare “la Tammurriata” tipica della sua terra d’origine con la quale ha sempre avuto un legame molto profondo. Nel 2012 pubblica il suo primo album di inediti La terra dei fuochi, prodotto da Eurotronics/Tufano con l’etichetta napoletana Full heads. Con questo progetto guadagna un posto nell’archivio storico della Canzone Classica Napoletana partecipando alla trasmissione Cantanapoli di Federico Vacalebre. Durante la sua carriera da musicista e cantautore poliedrico ha incontrato numerosi grandi e diversi artisti: Emir Kusturica & No smoking Orchestra, Sara Jane Morris, Franco Ricciardi, Alessandra Amoroso, Amor Fou, Maurizio Capone, Francesco Di Bella, Antonio Corcione, Corrando Paonessa e molti altri ancora. Inoltre, l’artista ha avuto numerose collaborazioni teatrali tra cui con Agostino Ferrente (Orchestra di Piazza Vittorio), Francesco Di Leva, Angelo Belgiovine e Adriano Pantaleo.
Si trasferisce a Milano, dove vive da tre anni e da quest’esperienza personale nasce il suo album Migrà che parla di una delle tematiche più influenti al giorno d’oggi: la migrazione. All’interno di quest’opera artistica, ogni canzone è rappresentata da un personaggio che racconta emozioni, esperienze e punti di vista a riguardo. Recentemente, è stato pubblicato il suo singolo Rosa ‘e mezz a’ via, già trionfatore dell’Ugo Scalise Festival della Canzone d’Autore per la sezione inediti. Tale brano, racconta in modo originale una storia di un immigrato che vende le rose in strada. Per saperne di più su Emanuele e sulla sua musica l’abbiamo intervistato ed ecco quello che ci ha raccontato.
Ciao Emanuele, sappiamo dalla tua storia che sei un grande appassionato di jazz, pop, canto e in particolare di musica popolare. Quando sono nate queste passioni? Cosa ti ha fatto capire che avresti intrapreso la strada del cantautore?
«Sono nato con queste passioni da sempre. Sono cresciute dopo che mi sono trasferito a Milano per amore e per lavoro e ho voluto parlare nelle mie canzoni della tematica della migrazione che negli ultimi anni ho vissuto in prima persona nelle buone e nelle cattive aspettative. Sicuramente in quelle buone, ho scoperto che a Milano ci sono parecchie persone del Sud Italia ed è una cosa che chi vive giù non conosce. Purtroppo, ci sono anche tanti stereotipi negativi da parte del Nord Italia: credono che un meridionale si trasferisce per rubare il loro lavoro ecc. Queste constatazioni sono raccontate nelle mie canzoni che ho raccolto all’interno dell’album che ho chiamato Migrà con il quale sono riuscito a classificarmi tra i primi 12 finalisti del Premio del Festival della Canzone d’Autore».
Hai qualche modello d’ispirazione quando componi i tuoi brani?
«Non saprei… però quando scrivo i testi delle canzoni mi ispiro molto alla musica in generale. In particolare, ho uno stretto rapporto con la musica napoletana classica, ma oggi quando scrivo l’idea è quella di trovare grandi forme d’ispirazione, come ad esempio Pino Daniele e tutti i giganti della musica napoletana degli anni ’70 e ’80».
Abbiamo ascoltato il tuo album Migrà e siamo rimasti colpiti dal tuo singolo Rose ‘e mezz a via che tratta il tema dell’immigrazione. In che modo comunica questa tematica? Quale reazione vuole provocare nell’ascoltatore?
«Rose ‘e mezz a via è un’esperienza vissuta appena che sono arrivato a Milano con gli amici e c’era un ragazzo indiano che vendeva le rose, quindi mi sono messo a scherzare con lui facendo battute perché lo vedevo sempre girovagare con le solite rose in mano. Lui a sua volta mi ha risposto in inglese dicendomi che non parla l’italiano e che era un rifugiato politico e l’unica cosa che gli hanno permesso di fare è il venditore di rose. Quindi mi sono un po’ identificato nella sua storia perché vive davanti al “muro” della non accoglienza in un Paese che non gli appartiene. In realtà, spiego questo messaggio in maniera universale perché nel ritornello della canzone, l’indiano con le rose rappresenta il capro espiatorio di un occidentale sul quale sfoga una rabbia che nasce col suo stile di vita, raccontando la storia dell’immigrato stesso che si confronta con un odio che proviene in linea di massima dall’ignoranza. La stessa rappresenta anche me, perché non conoscendo la situazione e la storia del ragazzo indiano in qualche modo ho avuto la tendenza a giudicarlo e addirittura a “mandarlo a quel paese” proprio perché insisteva nel farti acquistare una rosa in questo caso. In realtà, a lui non gliene importa di vendere le rose in strada perché vorrebbe ricevere una rosa da noi occidentali per farlo sentire accolto. Inoltre, il testo spiega come noi occidentali abbiamo perso la cognizione del bello e del brutto, siamo sempre arrabbiati e invidiosi e non comprendiamo per quale motivo ce l’abbiamo cosi tanto con gli altri, quindi c’è questo enorme contrasto del nostro stile di vita moderno con quello orientale».
Inoltre, il tuo album Migrà è dedicato a Carlò D’Angio. Chi è stato per te questo artista? Cosa ti ha comunicato?
«In realtà, Carlo non l’ho mai conosciuto e tra l’altro l’avevo anche invitato a qualche presentazione e purtroppo a causa dell’accaduto non è potuto venire. Ho dedicato quest’album a lui perché coincideva con la presentazione del disco Brigante se more che è una versione del tutto personale della famosa canzone di Eugenio Bennato ed è divenuta l’inno di guerra dei briganti. Questa canzone è divenuta un po’ il vessillo della lotta contro il Nord d’Italia in questi vent’anni. Abbiamo ripreso questa canzone e abbiamo fatto un arrangiamento colto, voluto da Luigi Esposito che fortunatamente ha lavorato tantissimo sugli arrangiamenti dell’album. Dopo aver registrato il disco purtroppo è morto D’Angiò che è l’autore di questa canzone assieme a Bennato motivo per il quale dovevamo omaggiare Carlo».
Hai avuto anche tante collaborazioni teatrali tra cui Agostino Ferrente, Francesco di Leva, Adriano Pantaleo, Angelo Bongiovine. Come e quando sono nate?
«Francesco e Adriano li ho incontrati grazie al mio vecchio progetto Mr Fusion in cui durante l’ultimo periodo abbiamo girato un video con loro come attori. A conclusione del lavoro è rimasta quest’amicizia e abbiamo fatto alcuni spettacoli assieme. Con Francesco mi sento molto spesso e delle volte viene da me a Milano, insieme abbiamo anche un’idea di fare qualche spettacolo in due, ma vediamo quello che succede più avanti».
Quali sono i tuoi progetti futuri e dove possiamo ascoltarti?
«In questo momento mi sto concentrando su tante altre cose. Comunque, sarò a Parma il 27 marzo e il 18 marzo alla Santeria Social Club a Milano per la finale di un concorso che si chiama Dona il tuo talento ed è un’iniziativa che si occupa di portare negli ospedali la musica. Si tratta di una sorta di talent in cui i giudici sono i pazienti ed è una cosa davvero molto bella: ho già partecipato in passato con contrabbasso e voce, arrivando in finale. Nel frattempo, mi sto preparando per i festival estivi e prossimamente sul mio sito uscirà qualcosa di inerente a questo».
Katia Di Luna
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