Il 15 giugno del 1920 nasceva a Roma Alberto Sordi, uno dei più famosi attori del cinema italiano e dall’immensa filmografia. Si fece conoscere prestando la sua voce a Oliver Hardy – del famoso duo comico Stanlio e Olio – e, infatti, come non pensare all’attore senza il finto accento britannico di Sordi. Fra le altre esperienze di doppiaggio abbiamo anche un ruolo in Ladri di biciclette di Vittorio De Sica.
Dopo una seconda esperienza in radio, nel corso della quale sviluppò la propria verve satirica e comica, è a partire dagli anni Cinquanta che ha inizio la sua lunga carriera cinematografica. Ripercorriamo dunque, attraverso i tre di film di maggior impatto e successo, l’ascesa del grandissimo e amatissimo Alberto Sordi.
Tra i primi successi che consacrano al cinema Alberto Sordi, vi fu senza dubbio I vitelloni di Federico Fellini. In questo film che racconta il passaggio dall’adolescenza alla prima età adulta, il personaggio di Sordi, sempre di nome Alberto, si accompagna con gli altri protagonisti in un limbo fatto di staticità mentre agognano un salto in avanti nella loro vita. Una vita che ancora è scandita da feste, ubriacature, infinite passeggiate verso l’alba.
Questi giovani sognano e, talvolta, pretendono, ma non fanno nulla per crescere realmente e si illudono di poter avere un qualche potere decisionale sugli altri, quando in realtà, non l’hanno neanche su di loro. E Alberto, come i suoi compari, incarna alla perfezione quella mente giovane che fluttua senza posarsi mai, una mente fragile, che pensa di essere un soldato al fronte.
«Maccarone m’hai provocato e io ti distruggo adesso, io me te magno!» una citazione passata alla storia e che, oltre a rappresentare l’italianissimo italiano, segna uno dei più grandi successi di Alberto Sordi. Un americano a Roma, di Steno, è l’emblema di quella Italia post-bellica pervasa dal sogno statunitense: tra la ricostruzione del paese e l’avvio verso il boom economico, il protagonista Nando Moriconi fa la qualsiasi per credersi americano e raggiunge il continente oltre oceano.
Nel suo personaggio vive la contraddizione, vive quella pretesa priva di senso di incarnare il modello americano che è solo placcato in oro, mentre sotto è solo gesso facile da scalfire. E proprio in quella citazione risiede tutto il senso della pellicola: è inutile usare lo slang yankee e pensare di bere il latte a cena, se tornato a casa, Nando, vuole solo il suo piatto di maccheroni da apostrofare in romanesco.
Dal genio di Mario Monicelli, la pellicola portò sul grande schermo, oltre che a Sordi, anche i grandissimi Vittorio Gassmann e Silvana Mangano. Come suggerisce il titolo stesso, La grande guerra, il film tratta le disavventure di due soldati al fronte nel corso del primo conflitto mondiale.
Il regista decide di concentrarsi sugli aspetti più umani e quanto più distanti dall’aspetto bellico, cosa su cui la propaganda fascista degli anni precedenti aveva insistito molto. Non vi è esaltazione del soldato e dell’azione militare, anzi, l’accento è posto proprio sui prodotti negativi di questo contesto. Sordi e Gassman riescono così, con la loro immensa capacità attoriale, ad assecondare i momenti tragici e comici. Un linguaggio neorealista capace di declinarsi nella denuncia e nel ludico.
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