La Sicilia è una terra che ha il volto e la voce di mille popoli che l’hanno conquistata e che ancora oggi la vivono. Per le popolazioni ebraiche in fuga dalle loro terre fu scoglio di approdo e posto sicuro dove trovarono accoglienza e integrazione. Proprio gli ebrei sono i protagonisti del nostro primo racconto sui misteri e le leggende dell’occulto che ammantano la nostra bella isola.
Nella città di Trapani era noto il pensiero che gli ebrei nel corso dei secoli avessero derubato i trapanesi di tutti i loro preziosi e che avessero accumulato immense ricchezze che per avidità non mostravano mai a nessuno. Si riunivano tra di loro nel quartiere della Giudecca dove avevano fatto costruire un palazzo che divenne centro dei loro affari. Con l’Editto di Granada del 1492, emanato da Ferdinando II, essi furono costretti a lasciare la città e i loro averi furono confiscati. Subito si sparse la voce che fossero riusciti a mettere in salvo buona parte del loro tesoro e da allora in molti hanno tentato di mettervi le mani sopra, ad oggi senza esito positivo, poiché si dice sia protetto da incantesimo. Per impadronirsene bisogna ricorrere alla cosiddetta “spignatura”, cioè sciogliere l’incantesimo. La spignatura, nessuno di preciso sa in cosa consista: rituali difficili e misteriosi, formule complicatissime da recitare in ore e giorni stabiliti, il tutto avvolto da un alone di mistero. Nessuno sa se qualcuno sia mai arrivato nell’intento, di sicuro chi vi è riuscito tiene il segreto per se.
Mettiamoci in viaggio in direzione Catania, o meglio andiamo a visitare la chiesa di Valverde. Si trova da oltre mezzo secolo nella tenuta della famiglia Casalotto ed è oggetto d’interesse perché si dice che al suo interno si svolgono presunte attività paranormali. Negli anni ’70 era ritrovo per sette sataniche, tanto che i residenti fecero sigillare l’ingresso dalle forze dell’ordine. Alcuni ragazzi, andando lì diverse volte in piena notte, hanno visto una giovane donna ferma sul viale… chissà aspettasse qualcuno.
I fantasmi non abitano soltanto i castelli abbandonati o case in posti isolati, ma nel 2011 venne visto uno, pensate, al Tribunale di Palermo. Ad avvistarlo fu un carabiniere durante il suo giro notturno di controllo. In uno dei corridoi venne vista una donna, vestita di bianco con un vistoso foulard rosso al collo e un fascicolo sotto il braccio, vagare senza meta. Quando il carabiniere si è avvicinato, la donna si è dissolta improvvisamente (quell’ala del palazzo non ha vie d’uscita). Il giorno successivo il militare fece rapporto; non furono trovati segni di effrazione e del fascicolo più nessuna traccia.
Ma torniamo ad un habitat più consono per i fantasmi, spostiamoci al Castello di Caccamo, uno dei manieri più mondani della Sicilia. Fu sede di una congiura di baroni ai danni di Matteo Bonello, proprietario del castello. Si narra che Guglielmo I, detto il “Malo”, lo fece uscire con l’inganno e lo fece imprigionare in una segreta dopo avergli cavato gli occhi e reciso i tendini. Alcuni giurarono di aver visto il suo fantasma: indossa una casacca di cuoio e si muove lentamente con passo incerto. Un altro fantasma, molto più famoso fu Giuseppe Balsamo, meglio noto come il “Conte di Cagliostro”, il cui chiodo fisso era quello di poter dominare la morte. E pensate, ci riuscì.
La leggenda narra che nella notte del 26 agosto 1795, nel letto della prigione di San Leo, ormai in fin di vita, mentre stava per rendere l’anima, la stanza si riempì di luce e davanti a lui apparve una donna bellissima: era la Morte. Cagliostro si mise a sedere e confidò alla donna il suo desiderio. Pur sapendo che la vita impone a tutti gli uomini le sue leggi, il suo desiderio era quello di ritornare in questo mondo almeno un giorno per ogni generazione, in modo da poter continuare la sua missione. La Morte rimase colpita da tanto ardire e gli propose una sfida a morra, se l’avrebbe sconfitta, lei avrebbe esaudito il suo desiderio. Cagliostro, con la sua magia sconfisse la Morte e questa gli concesse di abitare in un loculo nobiliare delle Catacombe dei Cappuccini di Palermo, da dove ogni 25 anni per un giorno, ritorna.
Spostiamoci in provincia di Agrigento, a Comitini, per visitare Palazzo Bellacera, famoso per i racconti sul fantasma di Federico II d’Aragona. Don Pietro Carrera, nel 1577 raccontò di aver incontrato il fantasma del Re di Sicilia. Si racconta che questi fu condannato per volere divino a vagare nelle sale del castello fino a quando un palermitano non avesse visitato il palazzo ormai disabitato. Alla fine il viaggiatore visitò l’edificio, dove incontrò la sagoma del re che si presentò come l’essenza di “Federico II re di Trinacria” e gli chiese di pregare Don Girolamo Marini affinché facesse celebrare le messe di San Gregorio e di San Amatore in modo da espiare i propri peccati.
Un altro castello noto, più che per le sue bellezze architettoniche per essere infestato da spiriti sinistri, è il Castello di Mussomeli, a cui sono associate diverse leggende. Un giorno il principe Federico, dovendosi allontanare per la guerra e non fidandosi degli uomini del castello, decise di chiudere le sorelle – Clotilde, Margherita e Costanza – con cibo e acqua in una stanza. Ma la guerra continuò per molto tempo e al suo ritorno trovò le sorelle morte con scarpe fra i denti. Tutt’oggi quella stanza è detta “delle tre donne”.
Tra i fantasmi più noti vi è quello di Don Guiscardo de la Partes. Nel 1975 il suo spirito apparve al custode, che a fine turno si trovava davanti la porta fumando una sigaretta. Gli raccontò la sua storia. Figlio di un mercante spagnolo e marito di una bellissima donna di nome Esmeralda, si trovò in Sicilia con l’esercito di re Martino I contro Andrea Chiaramonte. Durante il viaggio fu attaccato dall’esercito di Don Martinez, un uomo che era stato rifiutato da Esmeralda. Ucciso, ma impossibilitato a raggiungere l’aldilà per aver bestemmiato, fu condannato a vagare sulla terra per mille anni.
Non solo fantasmi, più o meno benevoli, abitano castelli e manieri, ma in alcuni casi si possono incontrare, perché no, folletti. Siamo a Villa Muscianisi, a Milazzo (ME). Un gruppo di giovani in visita alla villa ha fotografato la figura di un uomo molto basso, definito come un nanetto o uno strano bambino. Un esserino tranquillo e per nulla dispettoso che si aggira per la villa abbandonata. Davanti alla villa si nota la scritta: «Qui lieto mi fiorisce il lare antico»; nello specifico il lare rappresenta una divinità domestica che ha il compito di fornire protezione alla casa in cui si trova.
L’occulto e il misterioso, in Sicilia, non è soltanto spiriti e fantasmi. L’esoterismo Aleister Crowley si riuniva con alcuni seguaci per dare vita ad un nuovo credo, che poneva l’uomo al centro del pensiero. “L’Abbazia di Thelema” da il nome al suo credo, sostanziato dalla magia cerimoniale: Crowley o “La Grande Bestia” come amava definirsi, è un personaggio molto discusso nell’ambiente esoterico, amico di scrittori e poeti famosi. L’origine del nome della comunità va ricercata nell’opera Gargantua e Pantagruel di Francois Rabelais: il personaggio Gargantua fa costruire un’abbazia denominata “Thelema” per farne una sorta di scuola ideale, in cui ragazzi e ragazze con certe caratteristiche e virtù, a prescindere dalla loro condizione sociale e di sangue, vivevano insieme. A suggerire proprio Cefalù a Crowley fu l’oracolo cinese I-Ching. Per tre anni Crowley vi abitò con donne e bambini (presumibilmente suoi figli), fra la popolazione locale si diffusero storie circa riti orgiastici e satanici si tenessero in quel luogo, complice anche la segretezza del culto e la stravaganza degli abitanti dell’abbazia, nonché la mentalità bigotta delle persone del posto. Le voci giunsero prima alla diocesi locale e poi alla polizia fascista che ordinò l’espulsione di Crowley dall’Italia, il 13 aprile del 1923, per pratiche oscene e perversione sessuale. Dopo la sua espulsione, le donne dovettero vendere tutto: arredi e suppellettili, per poter pagare il viaggio di ritorno. Crowley fu un personaggio molto influente per diversi artisti e musicisti, come i Beatles, i Led Zeppelin, David Bowie, Ozzy Osbourne e molti altri. Il guru della setta andò via dall’Italia povero e solo, con il peso di aver perso il suo discepolo più fidato durante un rituale: avrebbe bevuto del sangue di gatto che gli avrebbe trasmesso una malattia mortale.
A volte anche le vicende più cruente come l’omicidio, possono dare vita a luoghi d’estrema purezza, stiamo parlando del lavatoio medievale di Cefalù. «Qui scorre Cefalino, più salubre di qualunque altro fiume, più puro dell’argento, più freddo della neve»; questo si trova scritto all’ingresso del lavatoio. Leggenda vuole che Cefalino, fiumiciattolo ormai interrato la cui sorgente si trova su un altopiano a sud-ovest del paese, venne creato dalle lacrime di una ninfa vittima di tradimento, che pentita per aver ucciso il suo amante generò limpidissime acque dalle mille proprietà.
Palermo non è solo “leggenda dei Beati Paoli”, ma molto altro. Ma chi sono i Beati Paoli? Cosa c’è di vero nella misteriosa storia di questa setta che ha catturato l’attenzione di tanti? Nasce tutto dall’immaginario di un popolo stanco dei soprusi dei potenti o sono realmente esistiti? Domande, queste, a cui non si può dare nessuna risposta definitiva, ma possiamo limitarci a raccontare una storia che corre su un invisibile filo sottile tra leggenda e realtà. Non si sa in quale epoca sia nata questa setta, il marchese di Villabianca riteneva che le sue origini risalissero alla fine del XII sec. e che fosse nata col nome di “Vendicosi”. Solo tra il XV e XVI si inizia a parlare di “Beati Paoli”; l’origine del nome è avvolto nel mistero. L’ipotesi più accreditata fa riferimento ad una congregazione devota a San Francesco di Paola, il termine “beato” indica invece una persona religiosa.
Durante il giorno questi uomini andavano vestiti come monaci, aggirandosi liberamente per le chiese dove venivano a conoscenza di tutto quanto succedeva, la notte complottavano su ciò che avevano visto, mettendo a punto la loro vendetta. I loro verdetti erano spietati, per chi veniva condannato era morte certa. Veniva prelevato e incappucciato, portato al cospetto del capo e veniva pugnalato a morte. Processavano chi abusava del proprio potere e della propria posizione sociale per commettere soprusi ai danni dei più deboli.
Il loro tribunale si trovava in uno dei mercati storici di Palermo, quello del Capo. Villabianca ne indicava l’ingresso da palazzo Baldi-Blandano, attuale via Beati Paoli, attraverso un passaggio al 1° piano dell’ingresso di questa casa si arrivava a un baglio scoperto, e il piano dove si camminava era il tetto di una grande grotta sottostante. L’interno del presunto covo si presenta come una stanza circolare attorniata da un sedile in pietra, in fondo alla stanza vi è un pozzo e su una parete una nicchia che fa pensare ad un ulteriore passaggio segreto. Un dedalo intricato di ampie cavità sotterranee, probabilmente appartenenti a una necropoli cristiana del IV/V sec. d.C., che dalla chiesa di Santa Maria di Gesù e via degli Orfani arriva fino alle antiche mura di Porta d’Ossuna.
Lo scrittore Natoli con il suo libro ha aiutato ad accrescere la leggenda, riuscendo a mescere finemente realtà e fantasia. Storie, tutte, che hanno popolato i sogni (o forse gli incubi) di molti bambini dell’isola, quando le serate si passavano in famiglia attorno al braciere in inverno, o seduti al chiaro di luna sotto un cielo trapunto di stelle di una notte d’estate siciliana. Miti, leggende, chi lo sa. A noi piace pensare che forse, un fondo di verità possa esserci stato.
Nella meravigliosa Palermo i misteri non ruotano soltanto attorno alla figura misteriosa dei “Beati Paoli”, ma anche all’interno di uno dei suoi magnifici teatri. Il Teatro Massimo di Palermo è considerato uno dei teatri più grandi d’Europa, una struttura che affascina e per la leggenda che lo avvolge: il fantasma della suora. Già la sera dell’inaugurazione, l’11 maggio del 1897 (quella sera andò in scena il Falstaff di Verdi) in molti giurarono di aver visto all’interno il fantasma di una piccola suora. Si dice che durante la sua costruzione fu violata la tomba di una monaca, e che questa si aggiri per le grandi sale del teatro. Per 23 anni il teatro rimase chiuso, solo nel 1997 venne riaperto al pubblico. La leggenda della suora tornò a farsi sentire; si racconta che una sera apparve a una cantante con poteri di medium. Cercando di opporsi a lei, questa perse la voce; quella sera non pote cantare: si sentiva le corde vocali serrate. Proprio a causa della maledizione di questo fantasma, si dice che il teatro fu costruito in 23 anni e che per altrettanti anni rimase chiuso in stato di abbandono.
Letizia Bilella
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