CATANIA − In un pomeriggio dove i termometri delle Farmacie della città etnea toccano picchi di 30 gradi, raggiungiamo in scooter il quartiere generale del rapper catanese Luca Rosario Trischitta, meglio conosciuto sotto lo pseudonimo de “L’Elfo”. Dopo un saluto informale e qualche scambio di battuta, iniziamo la nostra intervista allo status symbol del rap catanese.
Ciao Luca, iniziamo con una domanda abbastanza classica: tu come hai iniziato a fare rap? E perchè hai scelto proprio questa strada?
«Probabilmente ho iniziato perchè non avevo niente da fare (scherza e ride ndr). In realtà, già da piccolo, ero molto attratto dal mondo dell’underground e dalla strada: mi piaceva molto disegnare, fare i graffiti, quindi ho riversato subito questa mia passione nel vandalismo, nel lasciare il mio nome per la città, nel fare writing. Io sapevo che non era una cosa di passaggio, una semplice cotta giovanile: ero sempre in giro, frequentavo tutti i luoghi di ritrovo. Io sono nato in Piazza Teatro Massimo, ho vissuto il cuore di Catania da quando sono nato».
Perchè “L’Elfo?” C’è un motivo particolare per cui ti chiami così?
«Noto che è una domanda che incuriosisce un po’ tutti. In realtà non c’è una risposta, non c’è un vero significato! Non l’ho scelto facendo chissà quale viaggio mentale, ero piccolo quando iniziarono a chiamarmi così, non facevo nemmeno rap. “L’Elfo” nasce come soprannome, anche perchè per strada si ragiona così, se non hai un soprannome non ha un nome. Col passare del tempo mi sono accorto che alla fine mi stava bene addosso».
Capitolo Freestyle, c’è qualcuno a cui ti rifai?
«Penso che ormai sia abbastanza chiaro che non mi rifaccio a nessuno, tant’è vero che al Mic Tyson ho creato molta polemica proprio perchè ero diverso da tutti. Sono molto contento di com’è andata. Io sono così, punto e basta. Il Freestyle è stato il mio primo amore e lo porterò sempre nel cuore, anche se con gli anni andrà a scemare dato che mi sto impegnando sempre di più nella musica vera e proprio. Anche perchè la musica è musica, il Freestyle rimane per strada; a meno che non scegli di buttarti nelle competizioni italiane come ho fatto un po’ io, il problema è che resti sempre lì».
Durante i tuoi live, fai una cosa che pochi fanno. Ti fai dare un oggetto qualsiasi dal pubblico e ci rappi sopra.
«Non è una cosa che fanno in tanti perché non è una cosa semplice, lì o sei bravo veramente a fare Freestyle o sono solo parole. Non sono il primo a farlo in Italia, l’aveva già fatto Ensi in qualche suo show, se non mi sbaglio. Ma ti dirò di più: ad inventare questa prassi sono stati i rapper americani! Il primo che mi viene in mente è Supernatural, un freestyler americano che rappresenta una leggenda per chi fa Freestyle, un vero artista di strada. C’è un video famoso dove lui va in un centro commerciale, si fa passare gli oggetti e ci sputa barre sopra».
Hai qualche consiglio per chi vuole iniziare fare rap?
«Ti dirà una cosa: mi dispiace che oggi il rap sia così inflazionato. Per chi vuole iniziare è meglio che non inizia perchè si finisce a fare buffonate (precisa che scherza ndr), cosa voglio realmente dire? Se devi farlo, fallo perchè ti piace, non fare come fanno ora tutti che iniziano solamente per la volontà di diventare famoso e di sfondare. Se inizi per questo, per me hai perso in partenza. Questo pensiero dovrebbe essere generale: chi è cresciuto come me con l’Hip -Hop non aveva sicuramente in mente di sfondare. Era solo uno sfogo, una passione per chi non riesce ad esprimersi. Il consiglio finale è ‘non iniziate’ (ride ndr)»
Ora hai intrapreso un nuovo percorso, iniziato con Sangue Catanese e proseguito con un video al mese (adesso è uscito l’ultimo “Mi Momento” feat Dago [prod. Funkyman])
«Io, ormai dischi ne ho fatti, chi segue il rap catanese, nel mio piccolo ho fatto la storia e mi permetto di dire questa frase in maniera molto convinta perchè del resto è così. Facendo questi dischi, ho notato che volevo fare qualcosa di diverso: il disco è come un figlio, se non viene apprezzato a pieno ci resti male in cuor tuo. Adesso il rap è tutta immagine ed apparenza: alla gente, a meno che hai un nome famoso su scala nazionale, interessa il video. Avrei potuto fare il disco e avrebbe pure venduto, però ho scelto di adeguarmi al business italiano, rimanendo me stesso. Mi sono detto ‘proviamo qualcosa di diverso’, ‘diamo un hashtag ad ogni mese’ in modo che qualcuno si accorge di me piano piano ed inizia a seguire queste puntate».
Una piccola rivelazione sul prossimo pezzo?
«Posso dirti che si torna al passato, a gennaio 2017. Il mese prossimo esco con un altro pezzo in dialetto: già con Sangue Catanese abbiamo messo un macigno che nessuno può spostare, ora noi gliene mettiamo un altro e facciamo un pezzone di strada».
Francesco Raguni
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