Tra culture, giustizia, legge e discriminazioni: a Bologna una praticante avvocato, Asmae Belfakir, è stata costretta ad uscire dall’aula dopo il rifiuto di togliersi l’hijab. Il giudice, criticato, non ha voluto rilasciare dichiarazioni. È stato, poi, il presidente del TAR a farla tornare con il suo velo ad assistere alle udienze.
Asmae Belfakir è una ragazza di 25 anni, nata in Marocco ma arrivata in Italia a soli 3 mesi. Il suo sogno è sempre stato quello di entrare nel mondo della giustizia. Infatti ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all’Università di Modena con il massimo dei voti. Da ottobre è una praticante nello studio legale dell’ateneo emiliano: ha assistito a numerose conferenze e udienze anche all’estero, grazie alla sua bravura e al suo grande interesse. Asmae è, inoltre, una collaboratrice di riviste online sul tema dell’immigrazione e rappresentante legale della comunità islamica bolognese. Questa settimana, purtroppo, è stata protagonista di una situazione umiliante che non poteva aspettarsi.
La praticante stava assistendo ad un’udienza in cui si discuteva di un ricorso su alcuni appalti. Il presidente del tribunale aveva già ospitato altre volte in tribunale la ragazza. Questa volta, però, «ha subito puntato il mio velo e senza nemmeno nominarlo mi ha detto che avrei dovuto toglierlo per poter continuare a partecipare». Così Asmae ha spiegato la scena, come riporta Repubblica. L’avvocata ha rifiutato di scoprirsi il capo e si è dovuta allontanare dall’aula. Mentre stava uscendo il giudice ha tuonato «che si tratta del rispetto della nostra cultura». L’avvenimento ha suscitato la reazione delle istituzioni.
Il dirigente dell’ufficio legale dell’università, Canullo, ha tempestivamente cercato un contatto telefonico con il presidente del TAR regionale sulla vicenda. «Mi ha assicurato – dichiara Canullo a Repubblica – che la ragazza potrà partecipare a tutte le udienze indossando il velo, quindi, nel rispetto della propria fede religiosa». Infatti «l’aula di un tribunale dovrebbe essere laica e rispondere ai dettami della legge e a null’altro», ricorda Asmae. Inoltre l’hijab è un copricapo che lascia completamente scoperto il viso, quindi non crea problemi di sicurezza o di riconoscimento e identificazione.
Asmae Belfakir si è dichiarata contenta per quello che ha fatto, per non aver ceduto e per aver manifestato liberamente la sua personalità. Dopo aver vinto questa piccola battaglia, chiede provvedimenti nei confronti del comportamento assunto dal giudice. Ciò che le interessa maggiormente, però, è portare avanti le sue idee per fare in modo che nessun’altra ragazza debba scontrarsi con questi muri culturali. «Mi chiedo: se un giorno dovessi diventare avvocato o giudice, dovrò sempre difendere prima me stessa e poi i miei clienti?» Questo è il dramma che la ragazza ha raccontato a Repubblica sperando che società e giustizia facciano passi avanti.
Sara Tonelli
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