Un paio di giorni fa una donna marocchina di 19 anni è stata fermata con un trolley rosa con all’interno un bambino di 8 anni. Scoperto rannicchiato, in posizione fetale dai raggi x dalla dogana di Ceuta, il piccolo è di origine sub-sahariana. Il bambino stava raggiungendo suo padre, nascosto in una valigia, che si trovava in Spagna, il quale gli aveva pagato il viaggio clandestino per abbracciarlo. «Abbiamo pensato che trasportasse droga», racconta uno dei doganieri, che non poteva immaginare quello che avrebbe visto sullo schermo dello scanner qualche secondo dopo: una figura umana accovacciata dentro la valigia. Ma la scoperta è stata anche più grande quando, una volta aperta la valigia, sono apparsi due grandi occhi neri: «Bonjour, je m’appelle Abou», ha detto un bimbo minuto, tutto ossa e pelle. La valigia non aveva prese d’aria, il piccolo non respirava bene in quelle condizioni, ma non presentava sintomi di asfissia.
Ma questo non è un caso isolato. Ricordiamo, ad esempio, quel passeggero clandestino nascosto nel vano dei carrelli di un aereo dell’Air France, il quale è precipitato mentre l’aereo era in quota, trovato poi morto a Niamey, la capitale del Niger. Il volo Air France AF547 avrebbe dovuto collegare Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, e Parigi Charles-de-Gaulle. L’uomo è caduto verso le cinque di mattina a pochi metri da un residente che ha dato l’allarme.
Per non parlare di quei viaggi della speranza alla ricerca di un posto migliore per mezzo di quel mare che li separa e che sarà probabilmente anche l’unica cosa che vedranno. Questo probabilmente causano quelle leggi che regolano il flusso migratorio, che distribuiscono senza equità l’accesso alla parte giusta per un buon futuro o a una desolazione che ti porterà a lottare per una vita salva. Abou le sta imparando ora mentre qualcuno, allungandogli un biscotto e un succo di frutta, gli spiega che il suo premio si trova affidato ai servizi sociali e lui è, di nuovo, da solo, lontano dai suoi genitori.
Marcello Strano
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