Il 19 luglio del 1992, ad appena due mesi dalla strage di Capaci, perdevano la vita in un attentato di mafia Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Si tratta della strage di Via d’Amelio, presso cui abitavano la madre e la sorella del magistrato, uno degli eventi più tragici della storia italiana e che soprattutto, ancora oggi, presenta tanti aspetti non chiari e controversi.
Non approfondiamo, dunque, le dinamiche dell’attentato, ma cerchiamo piuttosto di mettere in luce le contraddizioni e gli elementi anomali di questa drammatica vicenda.
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Una delle piste percorse nel corso delle indagini andò a incappare con due personaggi nello specifico, uno dei quali ha fatto sentire di sé fino a pochi giorni fa. Un fascicolo indicava, con i nomi Autore 1 e Autore 2, rispettivamente Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Nel 1992 la futura Forza Italia ancora non esisteva, sarebbe nata anni più tardi, tuttavia, la magistratura notò degli interessi politici comuni tra Cosa Nostra e il nascente partito.
Le indagini non andarono a buon fine anche se, nel 2017, saltarono fuori delle intercettazioni del boss Giuseppe Graviano in cui si citava Berlusconi. Di fatti, nel 2021, lo stesso Graviano affermò di aver incontrato il leader di Forza Italia per ben tre volte negli anni Novanta.
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Uno degli aspetti più incongruenti che lega a filo rosso Capaci, Via d’Amelio e altri attentati di mafia, e non solo, è l’agenda rossa di Paolo Borsellino. Venne prelevata dall’auto dell’esplosione da Giovanni Arcangioli, capitano dei carabinieri, il quale fu ripreso mentre si allontanava dal luogo dall’attentato. Pervenne poi ad Arnaldo la Barberia, nel processo Borsellino Quater, identificato come uno degli autori del depistaggio nelle indagini: si notò, infatti, uno stretto legame tra depistaggio e sparizione dell’agenda rossa.
La figlia del magistrato, Lucia Borsellino, ci ha dato modo di capire – indicativamente – cosa contenesse l’agenda rossa: si trattava degli appunti più importanti sul lavoro del padre. Seppur con iniziale fiducia, quando mesi dopo l’attentato la borsa di cuoio di Borsellino tornò ai familiari, essi subito si resero conto dell’assenza dell’agenda rossa.
Questa agenda sembra essere scomparsa, quando chiaramente così non è e mai sapremo cosa c’era al suo interno. Appare chiaro però come vi fosse, da parte dello Stato, l’intenzione di far sapere il meno possibile. Questo perché? Tali gesti sono mossi quasi sempre dalla paura, la paura di far trapelare un suo coinvolgimento.
La trattativa nasce come un insieme di accordi, in cambio di favori nei confronti di Cosa Nostra, per far cessare le stragi di mafia. Tuttavia, ben presto, questa trattiva mise in luce una serie di connivenze antecedenti e successive agli attentati più rilevanti.
Si scoprì che molte cariche istituzionali erano a conoscenza di azioni a danno di magistrati e altre figure, e, nonostante ciò, lasciarono di fatto agire le organizzazioni criminali. Tutto ciò, unito al coinvolgimento di gruppi esterni al governo, ma di cui ne facevano parte grandi esponenti, come la loggia massonica della P2.
Chiudiamo l’articolo senza cadere in una banale retorica. Teniamo a mente e ricordiamo, semplicemente, come la lotta alla mafia avviene ogni giorno e deve essere portata avanti anche da piccolissimi gesti. Ecco i nomi di chi perse la vita quel tragico giorno, oltre al giudice Paolo Borsellino: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Riccardo Bajardi
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