Dopo nove mesi di stallo politico, in Spagna, vi sono ancora problemi per la formazione di un governo solido, capace di ottenere la fiducia in parlamento. A ciò si aggiunge che 17 dei 35 membri dell’esecutivo del partito socialista hanno rassegnato le loro dimissioni. Nonostante ciò il segretario generale del Partito Socialista Operaio Spagnolo, Pedro Sanchez, rifiuta di dimettersi, seppur di fatto l’organo è totalmente privo di potere. Secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, la banca centrale spagnola ha già avvertito che senza governo non si possono approvare nuove riforme e ciò potrebbe influire negativamente sull’economia statale durante i prossimi anni. Ma per capire a pieno il perché della crisi politica spagnola bisogna fare un passo indietro e tornare alle elezioni del 20 dicembre 2015.
Il 20 dicembre 2015 si sono svolte le elezioni per la Camera Bassa spagnola: il Partito Popolare guidato da Mariano Rajoy ha ottenuto 123/350 seggi, il Partito Socialista Operaio Spagnolo capitanato da Pedro Sanchez 90/350, Podemos di Pablo Iglesias (movimento popolare in rapida ascesa nel panorama politico iberico) 60/350 e Ciudadanos di Albert Rivera 40/350; il resto dei seggi (28) è stato assegnato a partiti minori. Già da questi numeri si evince una quanto mai rischiosa impossibilità di formare una maggioranza forte e unita, serve necessariamente un governo di coalizione. Il Re Filippo VI di Spagna dà in un primo momento l’incarico di formare il governo a Rayoj che, però, fallisce nell’allearsi con i socialisti di Sanchez. Successivamente, quindi, il monarca spagnolo conferisce l’incarico di formare il governo al segretario generale dei socialisti il quale, a sua volta, tenterà di formare un governo di coalizione con Ciudadanos e con Podemos. Tuttavia, se da un lato Sanchez riesce ad accordarsi con Rivera, fallisce nel negoziato con Podemos a causa di diversi punti di disaccordo tra le rispettive alleate compagini politiche, in primis il referendum per l’indipendenza della Cataloña. A marzo, però, viene negata al governo di coalizione entrante la fiducia iniziale, ma soprattutto la leadership di Sanchez viene messa in discussione da un’altra figura di spessore del proprio partito: Susanna Diaz.
Il rischio di un’eventuale scioglimento delle Camere diventa sempre più concreto. Infatti, ai sensi dell’art. 99 della Costituzione Spagnola comma 3,4, e 5 «Ove il Congresso dei Deputati, con il voto della maggioranza assoluta dei suoi membri, conceda la sua fiducia a detto candidato, il Re lo nominerà Presidente. Ove non si raggiunga detta maggioranza, si sottoporrà la stessa proposta a nuova votazione quarantotto ore dopo la precedente, e la fiducia s’intenderà concessa ove si ottenga la maggioranza semplice. Se effettuate le citate votazioni non si ottiene la fiducia per l’investitura, si presenteranno successive proposte nella forma prevista nei comma precedenti. Se trascorso il termine di due mesi, a partire dalla prima votazione sulla fiducia, nessun candidato avesse ottenuto la fiducia del Congresso, il Re scioglierà entrambe le Camere e indirà nuove elezioni con la controfirma del Presidente del Congresso».
Mentre Sanchez continua a punzecchiare sia Iglesias che Rajoy, Premier uscente, per la loro mancata cooperazione, il Re Filippo VI indice le nuove elezioni per giugno, nella speranza che, questa volta, riesca ad affermarsi una maggioranza più compatta. I risultati delle urne sono i seguenti: 137 seggi al PP, 85 al PSOE, 72 a Podemos, 32 a Ciudadanos. Ricordando che ai sensi dei commi 1 e 2 dell’articolo 99 della Costituzione Spagnola «Dopo ogni rinnovo del Congresso dei Deputati e nelle altre circostanze costituzionali in cui ciò si riveli necessario, il Re, previa consultazione dei rappresentanti designati dai gruppi politici presenti in parlamento e attraverso il Presidente del Congresso, proporrà un candidato alla Presidenza del Governo. Il candidato proposto secondo quanto previsto nel comma precedente, esporrà di fronte al Congresso dei Deputati il programma politico del Governo che intende formare e solleciterà la fiducia della Camera», il Re assegna nuovamente a Rajoy l’incarico di formare il Governo.
Sembra essere, però, punto e a capo. Il PP si allea con Ciudadanos che si rivela essere il partito più malleabile, ma non ha ancora i numeri per governare. Infatti, da un lato vi è Podemos che urla a gran voce nelle piazze «Prima o poi vinceremo», dall’altro vi è Sanchez che rifiuta di allearsi con quella che sulla carta è l’opposizione. Il centrodestra per quanto unito non riesce, dunque, a dominare uno spaccato centrosinistra. Rajoy, inoltre, capisce che a prescindere da Ciudadanos e i socialisti serve avere anche appoggi minori all’interno della Camera (come ad esempio quello dei nazionalisti catalani e baschi). Ad agosto prima e a settembre poi Rajoy non ottiene la fiducia: la Spagna è ancora senza governo. Oltre al centrosinistra, hanno votato contro di lui pure i nazionalisti baschi e catalani, evidentemente non convinti dalla ipotetica vittoria del centrodestra.
Si giunge quindi a quanto detto in prima battuta, la crisi interna al PSOE: molti, infatti, non hanno condiviso la scelta di Sanchez, cioè il remare contro Rajoy; e le dichiarazioni al veleno contro l’ex Premier socialista, Felipe Gonzales, da parte del segretario non hanno fatto altro che inasprire le tensione interne al partito stesso. Intanto, Veronica Perez, figura vicinissima a Susanna Diaz, reclama la leadership del PSOE, reputando Sanchez esautorato. Sembrano perciò necessarie nuove primarie. Nemmeno all’interno di Podemos tira un’ottima aria: se Iglesias è ormai favorevole al trovare un’intesa di massima con Sanchez, il numero due del partito (Iñigo Errejon) è totalmente contrario.
Lo stallo politico ed istituzionale che si è venuto a creare nel 2015 sembra non avere fine e l’incubo di una terza chiamata alle urne appare quanto mai vicino e concreto. Un’eventuale ascesa al potere di Diaz non è detto che faciliti il lavoro a Rajoy, dato che anch’essa si è dimostrata abbastanza chiusa per quanto riguarda le trattative con partiti non di sinistra. Sembra di essere dentro un labirinto politico: l’appoggio di Ciudadanos c’è, ce la farà il leader del PP a portare dal suo lato i nazionalisti? O il PSOE sorprenderà tutti e, pur di non far indire per la terza volta in un anno le elezioni, si schiererà con Rajoy? La soluzione, alla fine, resta sempre quella: un governo di coalizione, unico modo per far andare avanti un Paese le cui forze politiche sono sì frammentate, ma anche forti.
Francesco Raguni
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Ti piacerebbe entrare nella redazione di Voci di Città? Hai sempre coltivato il desiderio di scrivere articoli e cimentarti nel mondo dell’informazione? Allora stai leggendo il giornale giusto. Invia un articolo di prova, a tema libero, all’indirizzo e-mail entrainvdc@vocidicitta.it. L’elaborato verrà letto, corretto ed eventualmente pubblicato. In seguito, ti spiegheremo come iscriverti alla nostra associazione culturale per diventare un membro della redazione.