Martedì 4 Agosto è stata diffusa tra social media e giornali una vasta quantità di video e foto della spaventosa esplosione avvenuta a Beirut, in Libano. La città già in precedenza era travolta dal fuoco degli scontri tra protestanti e forze dell’ordine. Ora a causa di questa tragedia negli ospedali manca spazio, mentre vigili ed esercito sono impegnati nel recupero dei civili feriti. Ma cosa sappiamo davvero di quanto successo?
La prima parola è stata presa dal complottismo più spietato. Il Libano è un paese in difficoltà da prima del lockdown per la prevenzione del Covid-19. Molte persone, tuttavia, preferiscono girare attorno agli attentati terroristici o ai missili balistici israeliani anziché vedere quello che il Libano è oggi.
Come scrive Elena Zacchetti per Il Post, il Libano «stava attraversando una crisi gravissima, con i cittadini ridotti al baratto e lunghi blackout quotidiani». L’esplosione potrebbe essere avvenuta a causa di un incendio in un deposito di nitrato d’ammonio, un composto chimico non estraneo alle tragedie industriali. Quest’ultimo è usato, per esempio, per produrre ANFO, lo stesso composto chimico con cui fabbricarono le bombe dell’attentato a Oklahoma City, nel 1995.
Dopo questo episodio, le persone non hanno lasciato spazi ai commenti più fantasiosi: dalle accuse di terrorismo alla possibile presenza di un drone telecomandato in cielo. Ma è stata davvero colpa di un governo esterno?
La crisi del Libano non è estranea al mondo intero. Da un anno le proteste sono iniziate nei confronti di un governo che non riesce a gestire bene il paese. La tragedia dell’esplosione, inoltre, che ha distrutto dozzine e dozzine di case, palazzi, abitazioni e uffici ha privato la casa a quasi trecento migliaia di abitanti. L’esplosione ha causato danni che metterebbero in difficoltà anche il migliore dei paesi. Ora il governo libanese dovrà impegnarsi alla riorganizzazione di tutto: dalla gestione delle risorse di beni primari, ormai al limite, fino alla riedificazione di una città devastata da anni di guerra civile, bombardamenti stranieri e attentati costanti.
La spiegazione del Guardian. L’esplosivo contenuto nel deposito del porto era materiale che dalla Georgia doveva essere trasportato in Mozambico, per essere consegnato a una ditta di esplosivi. Il fine della ditta era ripulire una miniera. Il vascello Rhosus, il mercantile che avrebbe dovuto compiere questo viaggio, non aveva in fondi necessari a sostenere il viaggio. Il capitano si fermò così, nel 2014, a Beirut per fare sosta e rifornimento, ma una volta arrivato fu costretto ad abbandonare la nave e il governo prese sotto sequestro le tonnellate contenute di nitrito d’ammonio. Non è ancora chiarissima la causa dell’incendio e la non-curanza delle forze dell’ordine. Le massime autorità governative del Libano e Amnesty hanno dato inizio a delle indagini per quanto successo.
Nonostante queste tragedie e la costante presenza di un’esplosione dietro un orecchio, come riporta il New York Times sotto un articolo di Ben Hubbard, i libanesi hanno sempre fatto il possibile per fare in modo che le violenze non impedissero loro di godersi la vita. I locali erano aperti quando gli israeliani bombardavano il Libano, così come sono rimasti aperti durante il grande incendio di qualche giorno fa.
Tutto permesso da una truffa di stato che dipendeva dalla grande svalutazione tra dollaro americano e lira libanese. Uno “schema Ponzi” reso possibile dall’assenza di esportazioni in Libano, che ha portato il governo a scegliere di usare le proprie banche per accogliere un flusso di depositi costante.
Solo in importazioni il Libano ha speso nel 2018 quasi venti miliardi di dollari americani. Tutti guadagnati tramite questo flusso di denaro attirato dai bassi costi di interessi delle banche centrali del paese. Nel Gennaio del 2019 le spese hanno superato i trenta miliardi.
Ma se si vuole parlare di scarsa gestione del paese, è sufficiente leggere le parole del presidente libanese Michel Aoun, che non ha saputo rispondere al perché ci fossero oltre 2700 tonnellate di fertilizzante ricco di azoto in un magazzino abbandonato. Il nitrato d’ammonio, per l’appunto, era stato sequestrato sei anni prima dalle autorità e immagazzinato in questa struttura del porto, senza aver preso le giuste precauzioni e misure di sicurezza.
Le origini di questo incendio sono ancora ignote, come molti degli eventi in Libano d’altronde. Quello che è logico fare è aspettare il progresso delle indagini. E aspettare a urlare accuse contro un passato che, si spera, non si ripeta.
Per ora possiamo solo chiederci quante altre tragedie vuole riservarci il 2020. Sperando sia l’ultima.
Davide Zaino Pasqualone
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