«Per fortuna ci siamo vaccinati anni fa dalle bufale, dalle fake news dei giornali e si stanno vaccinando anche tanti altri cittadini tanto è vero che stanno morendo parecchi giornali tra cui quelli del Gruppo L’Espresso che, mi dispiace per i lavoratori, stanno addirittura avviando dei processi di esuberi al loro interno perché nessuno li legge più perché ogni giorno passano il tempo ad alterare la realtà e non a raccontare la realtà». Termini forti quelli utilizzati dal vice Premier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, il quale pare aver dichiarato guerra aperta alla stampa tradizionale. Già in passato il capo politico del Movimento 5 Stelle aveva espresso le sue riserve nei confronti della trasparenza dell’operato delle maggiori testate italiane, prendiligendo una comunicazione fondata sui social network. Adesso gli attacchi sono divenuti espliciti e più diretti, passando dalla critica dei finanziamenti pubblici ai giornali fino a metterne in discussione l’esistenza stessa. Com’era prevedibile le risposte dei direttori interessati sono arrivate prontamente.
«Ancora un volta il vicepremier Luigi Di Maio non perde occasione per mostrare a tutti gli italiani la sua cultura non solo ignora che il Gruppo Espresso non esiste più da due anni, confluito nel più articolato gruppo Gedi che è leader in Italia nell’informazione quotidiana e multimediale. Ma dimostra per l’ennesima volta di non conoscere la differenza tra bufale e notizie, evidentemente perché espertissimo della prima fattispecie e allergico alla seconda» : è questo l’attacco rivolto dai Cdr di Repubblica e L’Epresso in un comunicato. Una reazione veemente, che mostra senza troppi fronzoli l’indignazione nei confronti delle dichiarazioni del ministro che scredita l’operato dei lavoratori del gruppo editoriale citato qualche rigo più sù. E infatti, continuando la lettura del comunicato, i Cdr proseguono: «Nella sua dichiarazione Di Maio parla inoltre senza cognizione di causa, ed è grave essendo lui anche ministro del Lavoro, di “processi di esuberi” e di “giornali che stanno morendo”: tradendo così una sua speranza recondita. Ma può mettersi l’anima in pace: Repubblica, L’Espresso e le altre testate del gruppo Gedi non moriranno e, Costituzione alla mano, continueranno a fare quello per cui sono in testa alle classifiche della diffusione digitale e cartacea nel nostro Paese: raccontare la verità, soprattutto quando è scomoda per il potente di turno».
Le forze politiche dell’opposizione hanno aspramente criticato l’uscita del vice premier, a partire dal segretario del PD, Maurizio Martina, che paragona Di Maio ad Orban. Mentre l’ex segretario, Matteo Renzi, ricalca i toni del collega: «un ministro del lavoro che si compiace dei licenziamenti, un vicepremier che attacca la libertà di stampa. Mai visto in Italia». Critico anche il direttore di La 7, Enrico Mentana, che sul suo profilo Facebook ha così esordito: «Esiste una cosa che si chiama rispetto per chi lavora, e allarma che a irriderla sia chi il lavoro dovrebbe tutelarlo». Insomma, le dichiarazioni di Di Maio non sono piaciute a gran parte dell’opinione pubblica. Ma il dissenso nei confronti della stampa è davvero così forte? E soprattutto, quanto le dichiarazioni del governo gialloverde aprono a possibili scenari legislativi ancora più aspramente avversi ai canali classici di informazione?
Francesco Laneri
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