RAQQA- Il Califfato ha da poco ricevuto la sua sconfitta più pesante; mai infatti,l’ISIS aveva avuto tali perdite. Le armate curde hanno messo sotto il loro giogo Tel Abyad, cittadina di frontiera con la penisola anatolica che funge da via di transito fondamentale per i jihadisti. Avanzando a passo moderato nella regione, le forze di protezione del popolo curdo (YPG) hanno costretto i militari del Califatto a barricarsi nella capitale designata da loro stessi per quanto riguarda la Siria, cioè Raqqa, a 80 chilometri dalla confine con la Turchia. I curdi hanno, poi, preso la strada di collegamento principale con la città siriana, strappando totalmente all’ISIS le vie di rifornimento di armi, petrolio e foreign fighters. La vittoria è stata conseguita grazie a uno schieramento delle truppe militari ben preciso: un esercito di terra organizzato è stato fiancheggiato dagli aerei della coalizione anti-jihadista (composta da USA e siriani). Nella loro avanzata i nemici dei jihadisti, da gennaio, hanno preso più di 500 paesini.
La vittoria curda a Tel Abyad ha suscitato non poche preoccupazioni in quel di Ankara: le milizie del YPG sono vicini al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), considerato da Ankara, UE, e USA un gruppo terroristico. I curdi siriani, analogamente ai loro cugini iraqeni, hanno un unico scopo: la creazione di un territorio totalmente autonomo lungo il confine siriano. Il 16 Giugno 2015 260 leader curdi hanno tenuto un meeting a Qamishli per disquisire delle prospettive di indipendenza della regione. Il presidente curdo-iracheno Massud Barzani avrebbe fissato il termine dell’autonomia in due anni seguendo il progetto che prevede la creazione di uno stato curdo, il quale comprenda il Kurdistan siriano e iracheno. Ankara, nonostante la vittoria importante ottenuta contro l’ISIS, ha accusato i curdi di aver effettuato una sorta di “pulizia etnica”, cacciando dalle proprie case gli arabi e i turcomanni. L’accusa è stata subito respinta dal YPG per mezzo delle parole del suo portavoce ufficiale Radur Khalil. Quest’ultimo ha dunque spiegato la situazione: «Il nostro unico nemico è l’Is. Agli arabi di Tel Abyad diciamo di non lasciare la città, non hanno motivo di andare in Turchia».
In Iraq invece si tessono le fila dei preparativi per riprendere Ramadi. Inoltre, sono arrivati nell’area interessata 150 consiglieri militari statunitensi: questi aiuteranno Bagdad nella pianificazione dell’offensiva contro il Califfato; Obama ha pure ordinato a un contingente di 450 uomini di dare man forte alle milizie locali. I jihadisti barricati a Ramadi sono comunque corsi ai ripari: hanno disseminato degli IED (ordigni ad esplosione improvvisa) presso dei percorsi obbligati. Certi delle loro strategie difensive, questi hanno avviato una campagna “dual use” nella città; tale azione ha un doppio scopo: aumentare il terrore e parallelamente le reclute.
Nelle piazze sono stati mandati in onda diversi filmati di propaganda. In più, chiunque provi ad abbandonare l’area viene immediatamente arrestato e punito. A Falluja – sempre nella provincia di al Anbar – si può lasciare l’area pagando un tributo che ammonta a circa 800 dollari. A Mosul, invece, per incrementare i guadagni sono state imposte tasse su qualunque cosa, in primis sulla protezione fornita dagli uomini del Califfato.
Francesco Raguni
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