Molte volte usiamo l’espressione “Sindrome di Stoccolma” per riferirci ad un rapporto malato, un rapporto di dipendenza, ma conosciamo realmente il significato di questo termine?
La Sindrome di Stoccolma è prima di tutto uno stato psicologico che la persona vittima di violenza verbale, fisica o psicologica sviluppa nei confronti del proprio aggressore o rapitore. Il soggetto affetto da questa sindrome, infatti, durante i maltrattamenti subiti, prova un sentimento positivo verso l’aggressore che può spingersi fino all’amore vero e proprio e alla totale sottomissione volontaria, instaurando così una sorta di complicità, o addirittura alleanza, vittima-carnefice. A volte i prigionieri possono finire per aiutare i rapitori a eludere la polizia e a raggiungere i loro scopi, così come accadde nel 1973 dopo una lunga rapina in banca.
La Sindrome di Stoccolma prende il nome proprio da questa rapina che si svolse a Stoccolma dal 23 al 28 agosto 1973. In questo caso le vittime, tre donne e un uomo, difesero i propri sequestratori anche dopo il rapimento e mostrarono un comportamento reticente prima dell’inizio del processo. Si dice anche che una delle donne rapite si fosse nel frattempo fidanzata con uno dei rapitori, comportamento che per nulla stupì Nils Bejerot, psicologo e criminologo che seguì l’intera vicenda e che utilizzò questo termine per la prima volta durante un notiziario.
Secondo alcuni pareri, la Sindrome di Stoccolma è l’elemento caratterizzante di uno dei più celebri film Disney: La Bella e La Bestia. Sono molte le persone che hanno associato la storia di Belle che si innamora della Bestia al rapporto che un rapito instaura con il suo rapitore, tanto da innamorarsi dello stesso. Emma Watson, che interpreta la favolosa Belle, sostiene che il film non trasmetterà agli spettatori nessun messaggio del genere e in un’intervista a Entertainment Weekly afferma: «Belle si oppone in continuazione e non va mai d’accordo con la Bestia, non ha nessuna delle caratteristiche di chi è affetto dalla Sindrome di Stoccolma perché mantiene sempre la sua indipendenza. E sono convinta che la sua scelta di rimanere sia presa in totale autonomia».
Sono tante le persone che continuano a pensare che l’intero film sia basato su questa sindrome ma sono altrettante quelle che, anche dopo aver letto l’intervista della Watson, difendono a spada tratta questa bellissima storia d’amore! E voi da che parte state?
Nicole Terbonati
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