Nella giornata di martedì 7 aprile la Corte di Strasburgo ha emesso una sentenza storica riguardo ai fatti della scuola Diaz in occasione del G8 di Genova del 2001, accogliendo il ricorso della vittima Arnaldo Cestaro.
Nel luglio 2001 Genova ha ospitato la riunione dei “grandi della Terra” ed è diventata teatro di scontri tra le forze dell’ordine e i manifestanti no global. La notte del 21 luglio i reparti mobili della polizia hanno fatto irruzione nella scuola Diaz in cui alloggiavano attivisti e giornalisti, ferendo 82 persone con calci, pugni e manganellate. Gli arrestati sono stati 93: la maggior parte è finita in ospedale, una ventina è stata invece trasportata nella caserma del Bolzaneto, dove ha continuato a subire lesioni e maltrattamenti psicologici. All’indomani del feroce attacco, l’irruzione alla Diaz – definita come «legittima perquisizione» – è stata giustificata con il ritrovamento di due molotov all’interno della scuola, che invece sarebbero state poste dalla stessa polizia a seguito del sequestro, in occasione degli scontri del corso Italia. Dieci anni dopo, la Corte di Cassazione condanna 17 funzionari della polizia per falso aggravato e calunnia; sono decadute, invece, per prescrizione le condanne per lesioni.
Arnaldo Cestaro, vittima che all’epoca del pestaggio aveva 62 anni, ha riportato danni gravi agli arti inferiori e superiori e ancora oggi subisce ripercussioni per le lesioni. Questi ha presentato ricorso alla Corte di Strasburgo per violazione dell’art. 3 della CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo), che recita: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti». Insieme a quella del ricorsista. negli anni molte voci si sono levate contro l’ingiusta sentenza della Corte di Cassazione e contro l’ancora più ingiusto sistema penale italiano, che non prevede il reato di tortura. Alla Diaz e al Bolzaneto è stata praticata tortura da parte di agenti della polizia nei confronti di manifestanti pacifisti. La condanna della Corte di Strasburgo non ammette riserve né equivoci: lo Stato dovrà risarcire alla vittima 45mila euro per danni morali e dovrà introdurre il reato di tortura, nonché escludere termini di prescrizione e possibilità di amnistia e indulto.
La sentenza dell’organo di giustizia dell’Unione Europea è un palliativo, per quanto giusto: cura la ferita, ma non riesce a rimarginarla. L’orrore vissuto da coloro che ne sono stati coinvolti non potrà essere cancellato, né si potrà dimenticare una delle pagine più nefande in cui è stata coinvolta la polizia italiana e la più grave violazione dei diritti dell’uomo avvenuta nostro Paese a partire dal secondo dopoguerra.
Viviana Giuffrida
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