“Ho un solo rimpianto: quello di poter donare alla Roma una sola carriera.”: potrebbero bastare queste parole a riassumere al meglio ciò che Daniele De Rossi ha rappresentato per Roma, non soltanto dal punto di vista calcistico. Romano di sangue e di spirito, la sua carriera è stata di momenti da incorniciare, tutti contrassegnati da un’unica costante: l’amore per la maglia giallorossa, per i suoi tifosi e per l’intera città. Un amore viscerale, che spesso e volentieri è stato messo a dura prova da qualche tensione di troppo, ma che non è mai svanito e mai svanirà, nemmeno dopo l’annuncio ufficiale della fine della sua lunga quanto gloriosa avventura capitolina, durata ben 18 anni.
Le strade di De Rossi e della Roma si separano, in virtù della decisione della società giallorossa di non rinnovare il contratto dell’esperto centrocampista, divenuto capitano dopo il ritiro di un’altra bandiera impressa a vita nel cuore e nella mente dei tifosi romanisti e non solo, ossia Francesco Totti. Nel giro di due anni, dunque, la Lupa perde due dei suoi più valorosi guerrieri, ultime bandiere di un calcio romantico e passionale che appare ormai sempre più un lontano e dolce ricordo. Quando durante la sfida casalinga con l’Anderlecht in Champions League Fabio Capello getta nella mischia un ragazzino di 18 anni all’esordio tra i professionisti, in pochi sono consapevoli di ciò che quel promettente talento rappresenterà per la Roma e per il calcio italiano negli anni a venire.
Dopo poco più di due anni, De Rossi è già uno dei titolarissimi tra le file dei giallorossi, mette in campo grinta, energia e carattere in ogni partita e conquista anche la maglia della Nazionale, entrando a far parte del giro dell’Italia sotto la guida tecnica di Marcello Lippi e risultando tra i protagonisti dello storico trionfo ai Mondiali di Germania 2006, in cui passa dalla frustrazione per l’espulsione rimediata nella seconda gara del torneo pareggiata 1-1 contro gli Stati Uniti alla gioia incommensurabile per il terzo rigore mandato a segno nella lotteria che incorona gli Azzurri campioni del mondo per la quarta volta nella loro storia.
In questi due episodi è racchiusa al meglio l’essenza della carriera di Daniele De Rossi, uno abituato da sempre a gettare il cuore oltre l’ostacolo e a non mollare mai, soprattutto quando le difficoltà appaiono insormontabili, perché è proprio in momenti del genere che viene fuori la vera natura di un uomo, prima che di un calciatore. Capitan Futuro è uno dei personaggi più puri e autentici del calcio, dice sempre ciò che pensa e trasforma la sua enorme voglia di emergere e di spaccare il mondo in energia positiva. Duro sì, ma senza mai andare oltre il regolamento. In questo senso, impossibile non menzionare un altro suo gesto che ne denota la spiccata onestà: il 19 marzo 2006, dopo un gol realizzato con un tocco di mano contro il Messina, è lo stesso De Rossi a segnalare all’arbitro l’irregolarità della rete, facendola così annullare.
Gesti apparentemente irrilevanti e scontati, ma necessari, sono stati pezzi del puzzle gigante della sua carriera, un mosaico cui mancava soltanto l’ultimo tassello: la gara conclusasi poco fa contro il Parma (vittoria per 2-1, con De Rossi sostituito da Ünder all’82’), quasi due anni dopo (728 giorni) l’addio di Francesco Totti, che lasciò il calcio giocato in un match vinto per 3-2 contro il Genoa, in cui peraltro De Rossi andò a segno (e non poteva essere altrimenti). Dopo 615 presenze (secondo calciatore più presente nella storia del club, alle spalle soltanto del sopracitato Totti, primo a quota 786 tra il 1992 e il 2017) e 43 reti tra campionato e coppe tra il 2001 e il 2019, si chiude un’altra era di cui sulla sponda giallorossa del Tevere sentiremo parlare ancora a lungo.
Quel ragazzino che faceva sognare tutti i tifosi romanisti a suon di prodezze è oggi un uomo che ha raggiunto alcuni dei più grandi traguardi cui un calciatore potrebbe aspirare e, soprattutto, lo ha fatto con una sola maglia, quella che sin da quando era bambino indossava ogni giorno, quella della sua Roma, la squadra della sua città, stampata addosso come una seconda pelle. Nel corso dei migliori anni della sua carriera, innumerevoli top club europei hanno provato a convincere i capitolini a cederlo, ma lui non ha mai voluto sentirne parlare e ha fatto prevalere il suo amore immortale per i colori giallorossi anche dinanzi a offerte particolarmente allettanti.
36 anni da compiere il prossimo 24 luglio, De Rossi ha messo in bacheca tre trofei con la Roma, lasciando sempre il segno, in particolar modo con un gol nella gara d’andata della finale di Coppa Italia vinta con un rocambolesco 6-2 contro l’Inter all’Olimpico il 9 maggio 2007 e con il rigore decisivo nella Supercoppa italiana del 19 agosto dello stesso anno, anche in quel caso contro i nerazzurri, ma a San Siro.
Dennis Izzo
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