Quanto un insegnante può influenzare la nostra esistenza? Uno dei mestieri più antichi e nobili di sempre – quello del professore – sembra aver perso quell’aura di istituzione e importanza che nei tempi più antichi rivestiva. Ormai è facile vedere il docente come quella figura “fortunata” perché lavora solo al mattino ed è pieno di vacanze. E poi? In periodi critici dell’anno è stressato dall’ingente quantità di compiti da correggere e, se fa parte della commissione di esami di una classe maturanda, è costretto a dover andare a scuola fino alla fine di luglio. Stop.
Sempre più numerosi sono i laureati che si accingono a questo mestiere per facilità o per ripiego. Bisogna partecipare a un concorso nazionale e non è necessario dimostrare di valere davvero qualcosa. Ciò che conta è ottenere un buon punteggio. Si vince il concorso e la sua annessa assegnazione. Si lotta per guadagnarsi la meta sperata e poi ci si trova circondati da una miriade di occhi: inesperti, curiosi, insicuri, furbi, annoiati, giovani. Ma quanti professori, adesso, hanno la totale comprensione della loro immensa responsabilità? Uno studente sui banchi di scuola – togliendo le rarissime eccezioni – trascorrerà l’intera giornata attendendo il suono della campanella finale, per andare a casa. Non lo si può certo biasimare per questo.
Purtroppo, oggigiorno, l’educazione tende esclusivamente a finire i programmi assegnati dal Ministero. Spesso si arriva a fine anno con l’ansia per le innumerevoli lezioni da spiegare, interrogazioni da svolgere, compiti da preparare. Eppure, nessuna lezione perfettamente spiegata tra i banchi freddi e scomodi potrà mai eguagliare un’illustrazione della situazione storica e geopolitica contemporanea, sebbene svolta da un professore di matematica. Soltanto quando gli insegnanti riusciranno a scardinarsi dal grigio sistema che, volenti o nolenti, li intrappola potranno sperare di far breccia nel cuore degli studenti.
Non è l’ansia di finire il programma che deve muovere un insegnante, quanto la piena responsabilità di dover preparare il suo studente alla vita. Un capitano (oh, mio capitano!) che inciti la sua classe a seguire incondizionatamente le proprie aspirazioni. E, prima ancora, a non aver paura di riconoscerle come proprie e a considerare un errore le scelte di ripiego. Se crescere è associato a una razionalità tale che ci allontana dai sogni più remoti e fantasiosi, chi meglio di un adulto nella sua veste professionale può insegnare quanto un sogno può essere utile a condurre una vita valida e felice?
Giulia Sorrentino
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