CATANIA – In data 21 maggio 2015, presso il teatro Erwin Piscator di Catania (via Sassari 116) è stata presentata da Eduardo, Salvo e Caterina Saitta la stagione 2015/2016 della compagnia. Questa prevederà 8 spettacoli, 6 in abbonamento: Ma non è una cosa seria di Luigi Pirandello, Guai in vista di Eduardo Saitta, Il mio amico Walter da un’idea di Peppino De Filippo, Il vizietto dall’omonimo film di Eduardo Molinaro, L’impresario delle Smirne di Carlo Goldoni, versione in siciliano di Eduardo Saitta e La banda degli onesti dal film di Totò; due fuori abbonamento, Novecento di Alessandro Baricco e L’eredità da A. Russo Giusti di Salvo Saitta. In base a quanto dichiarato durante la conferenza stampa, il teatro dei fratelli Saitta va avanti da 48 anni: esso è puro amore incondizionato perché gli artisti hanno speso la loro vita per questa forma d’arte. Oggi c’è Salvo Saitta, ma prima vi furono i suoi genitori: è un progetto che prosegue di generazione in generazione.
Il professore Sciacca, agli albori della nascita dei Saitta, scrisse per primo del loro modo di fare teatro sulla rivista Espresso Sera. Il botteghino, infatti, mostra come ogni anno i riscontri da parte del pubblico siano sempre più positivi e che le soddisfazioni non tardino ad arrivare. «Il passato è passato, è per i vecchi, a me piace il futuro. Ho fiducia in loro», queste le parole di Salvo verso Eduardo e Caterina, cariche di un affetto e una passione che certamente sarà portata avanti. Tra l’altro, il Piscator è da 42 anni una struttura adibita alle rappresentazioni teatrali; prima, peraltro, al suo posto si ergeva un capannone. La forza del teatro dei Saitta resta, comunque, il pubblico.
Come mai traete spunto, oltre che da opere teatrali di grandi autori quali Pirandello e Goldoni, anche da capolavori del mondo del cinema?
Fotografia di Francesco Raguni
Caterina: «Questo desiderio proviene da Guglielmo Saitta. Lui, amando Totò, ha sempre chiesto perché non si facessero spettacoli teatrali tratti dai suoi film. Allora Eduardo, prendendo come spunto la richiesta del fratello, è riuscito a realizzare il suo sogno».
Salvo: «Abbiamo fatto una trilogia. Quest’avventura è iniziata l’anno scorso con Chi si ferma è perduto, poi è proseguita con Un letto per tre (messo in scena quest’anno, ndr) e si concluderà con La banda degli onesti. L’idea è nata anche per dare un tocco di novità a una Catania satura di classici siciliani. Noi prendiamo in prestito dal cinema capolavori che, a loro volta, sono stati tratti da canovacci teatrali e andiamo a riadattare il tutto al teatro. Non saranno novità assolute, ma risultano comunque diverse rispetto ai classici».
Sono stati fatti, durante la presentazione, diversi accenni all’opera di Pirandello Il berretto a sonagli e all’idea di portare oltre lo Stretto il vostro teatro. Perchè è stata scelta proprio quest’opera?
Eduardo: «Qui rispondo io. Non per presunzione, ma su questa materia ho abbastanza fiuto, sono fermamente convinto che abbiamo di fronte uno spettacolo con due ruoli importanti. Il primo, fondamentale, è quello dello scrivano; quest’opera sembra creata apposta per mio padre. Ad oggi nessuno, per quanto riguarda Il berretto a sonagli, può paragonarsi a lui. È per bocca del pubblico che dico ciò: in particolare in riferimento ai ragazzi che dopo l’opera hanno gli occhi lucidi per l’emozione di un uomo che interpreta, come afferma il professor Sciacca, un dramma umano. Questo spettacolo è un prodotto siciliano che solo un siciliano con il fuoco dentro può interpretare e lui ancora, a 70 anni, lo ha. Quindi, sono convinto che quest’opera potrà farci andare avanti per almeno altri 20».
Il teatro dei Saitta è sempre stato un teatro di denuncia. Il focus cade su Il vizietto: cosa dite al riguardo?
Eduardo: «Sembra un titolo buttato lì, ma non è così. Effettivamente si tocca un argomento che oggi non fa molto scalpore, ma studiando con attenzione il testo e notando come due uomini che si amano debbano nascondersi, si evincono messaggi importanti che devono necessariamente passare. Ancora si sente per diverse ragioni di giovani che si tolgono la vita perché non sono felici in quanto rifiutati dalla società a causa della loro diversità. Noi trattiamo il tema dell’omosessualità come Molinaro l’ha pensato, in maniera raffinatissima. L’opera, nonostante lo scopo comico, ha scene poetiche. L’autore ha raccontato il dramma di un uomo che non poteva vivere il suo amore. È proprio questo il punto, con noi il teatro prova toccare diversi argomento di natura sociale».
Francesco Raguni
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