Quando, nel 2005, arrivò nei cinema il primo Sin City fu un evento, nel bene e nel male. Di sicuro se ne parlò tantissimo: era la prima volta che il regista Frank Miller arrivava con una sua creatura del tutto personale al cinema e, quando ancora i cinecomic non erano uno “standard”, è stato anche uno dei primissimi titoli del fumetto d’autore americano a vedere una trasposizione non edulcorata sul grande schermo, diversi anni prima di 300 (altra opera milleriana in origine) e Watchmen. I toni pulp e decadenti fecero impazzire alcuni ma infastidirono altri, soprattutto per il contesto così particolarmente sopra le righe con cui era stata affrontata la realizzazione del film, con acerbi mezzi di green screen, esagerazioni fumettistiche, pesante voice over e una fotografia in (relativo) b/n alla ricerca dell’incredibile espressività delle tavole originali del Maestro. I risultati furono per certi versi altalenanti, ma Robert Rodriguez aveva appena spalancato un portone verso un nuovo modo di intendere le trasposizioni fumettistiche al cinema.
Secondo round a distanza di nove anni, ma la magia del primo capitolo non si ripete in Sin City 2 – Una donna per cui uccidere. Eppure ritroviamo gli stessi ingredienti di una volta: vetri che vanno in frantumi, esplosioni, pallottole a raffica, sguardi intensi e femme fatale a vagonate, e allora? Allora c’è che se l’esperienza del primo Sin City era un fumetto prestato al cinema qui si ha più la sensazione di essere finiti in un esercizio di computer grafica invece che nella matita del grande Frank Miller. Soprattutto è la decisione di proporre il 3D a infastidire perché cosa c’è di più 2D di un fumetto? Passata però la delusione per quest’inutile sfoggio di tecnologia il risultato complessivo non è male: la fedeltà al fumetto è quasi totale (dopotutto Miller è alla regia) e questo rincuora la maggior parte dei fedelissimi del fumettista statunitense, anche gli innesti dei nuovi personaggi funzionano. Tuttavia, il primo capitolo era un’altra cosa: più ironico, allegoricamente più ricco e sicuramente più denso di riferimenti alla “caduta” e al senso di “espiazione”.
Tra i pro dell’operazione c’è sicuramente l’eccezionale effetto stereoscopico, che abbinato al bianco e nero regala suggestioni a go-go e fa letteralmente prendere vita sullo schermo alla pagina disegnata. E per gli amanti dell’hard boiled, dei personaggi borderline e delle belle donne, il nuovo Sin City è un invito a nozze: i personaggi sono più “cool” che mai e le grazie delle attrici sono dispensate a piene mani, tra una matura Jessica Alba e una carnale e magnetica Eva Green. E se a queste aggiungiamo altri “pezzi forti” come Rosario Dawson e Jamie Chung, diremmo che ce n’è davvero per tutti i gusti; ma queste sono tutte cose che sapevamo già e davamo per scontate. E, comunque, stiamo parlando di un pulp, non di un video di Playboy, quindi il soffermarsi sulle grazie delle attrici piuttosto che sulla psicologia dei personaggi non è un buon segno. Tra i protagonisti maschili figurano Bruce Willis, già presente nel primo film, Joseph Gordon-Levitt e Josh Brolin. Purtroppo, però, per il resto la storia fila via in maniera coinvolgente solo per la prima parte, per poi perdersi e girare un po’ a vuoto. Il capitolo introduttivo non è funzionale e non c’entra il bersaglio come nel primo episodio della saga, mentre i due capitoli creati per l’occasione lasciano il tempo che trovano nonostante gli ottimi spunti. Abbastanza deludente anche il segmento principe dell’opera: le ingenuità di fondo del plot, sullo schermo cinematografico e a vent’anni dal loro concepimento, si notano molto di più e vengono ulteriormente appesantite da un eccessivamente reiterato sotto-testo misogino fin troppo invadente e che ricorre per quasi tutta la durata del film. Gli uomini e le donne sono per la maggior parte interpretati secondo un certo canone che non fa loro molto onore, e questo, comunque, non fa riflettere ma infastidisce unicamente lo spettatore, visivamente compiaciuto ma emotivamente molto poco partecipe. Sin City è la città senza speranza, piena di sogni infranti. Nella perenne notte piovosa, illuminata dai neon delle insegne e dai fari delle macchine, i mantelli dei protagonisti svolazzano sinuosi nel vento, le labbra voluttuose delle ragazze brillano, le automobili si avventano sulle strade nel bagliore delle carrozzerie, le lame dei coltelli luccicano, fra un boato e l’altro delle enormi pistole, mentre gli eroi vengono presi a cazzotti che esplodono come bombe.
Ma c’è una protagonista, nel film, che tra tutti gli altri spicca. Dopo aver fatto la sensuale e feroce Artemisia di 300 – L’alba di un impero, Eva Green torna in un ruolo tanto sexy e letale, la temibile e bella Ava Lord, diabolica incantatrice di uomini dai capelli neri corvino, occhi verdi penetranti, labbra rosso rubino. New entry del cast, l’attrice francese da sola vale il prezzo del biglietto. Il suo nudo è poesia visiva, la sua doppiezza, spregiudicata e giocosa, regala alcune rare sferzate umoristiche. La MPAA, ovvero la Motion Picture Association of America, ha giudicato i poster di presentazione del film troppo scandalosi. Su tutti quello di Eva Green: la curva sotto il seno e l’areola del capezzolo sono troppo visibili attraverso l’abito, avrebbe sostenuto l’associazione. Ma si sa, la censura il più delle volte, rovina tutto in qualsiasi forma venga effettuata.
Enrico Riccardo Montone
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