Spazio consacrato. Spazio di riflessione. Spazio enigmatico, svincolato e sfuggente. La selezione degli eventi paradigmatici segue un criterio preciso; Marco Bellocchio costruisce una vera e propria galleria di fatti storici altisonanti e tragici ma non rinuncia alla componente aneddotica, né alle sfumature comico-grottesche, ampliamente contemplate dentro l’orizzonte diegetico della musica. Sangue del mio sangue è la storia di Federico (Pier Giorgio Bellocchio), un giovane uomo d’armi, che viene sedotto come il suo gemello prete da suor Benedetta (Lidiya Liberman) che verrà condannata ad essere murata viva nelle antiche prigioni di Bobbio. Nello stesso luogo, secoli dopo, tornerà un altro Federico, sedicente ispettore ministeriale, che scoprirà che l’edificio è ancora abitato da un misterioso conte (Roberto Herlitzka), che vive solo di notte. Fin dal loro ingresso in scena i personaggi offrono al pubblico un’immagine contraffatta di sé, l’indizio di un disequilibrio, di un eccesso di comicità o di tragedia.
La matrice più autentica del film risiede innanzitutto in una innata vena antropologica, che si manifesta nella capacità di recuperare memorie del sottosuolo romagnolo (a Bobbio, dove è ambientata la vicenda), incrostate di storia, lingua e cultura. Bellocchio fa rivivere uno stile originale, sempre in bilico fra passato e presente. Per il regista le immagini veramente vive nascono dal passato dimenticato e trasformato dalla nostra fantasia interna, che combina la vicenda di una monaca ‘manzoniana’, accusata di stregoneria nell’Italia del ‘600 e un fratello morto per amore che accende il desiderio erotico (e di vendetta) del sopravvissuto. Sorprende il sorvegliato gioco di maschere e fantasmi, ma soprattutto commuove il tentativo di dare corpo e voce alle ombre di un passato che non sarà mai del tutto dimenticato. L’arcaica ritualità in Sangue del mio sangue assume un peso che sembra inscriversi nell’orizzonte esistenziale e artistico di Bellocchio.
Questo film è un vero testo cerniera all’interno della biografia artistica di Bellocchio, un’opera che più di altre probabilmente lo indirizza verso un sentiero di sperimentazione e anarchia, almeno rispetto alla condizione di regista ‘funzionale’. Sangue del mio sangue suggerisce la strega come emblema della femminilità irriducibile agli schemi del potere maschile e poi si lascia sopraffare dalla forza delle immagini, magnetiche, ardenti e vere padrone del film. È come se Federico si liberasse del complesso armamentario di intelletto e pregiudizio lasciandosi trascinare dalla ‘strega’ nel partecipare con lei delle sue visioni. Un richiamo ora affettivo ora sessuale. Il film si colloca sulla soglia fra «scrittura oralizzante» e «oralità-che-si-fa-testo». Lo spettatore condivide questo straniamento di fronte a una catena di parole, memorie, gesti, respiri disposti in «dramma franto» senza che si perda però la logica comunicativa del racconto. Il film è come se rispondesse alle ragioni poetiche di Bellocchio, convinto che lo spirito del cinema debba tradursi in una piena assunzione di responsabilità nei confronti delle aberrazioni della storia.
Ambientato tra due epoche differenti e interrotto, per così dire, dal progresso, Sangue del mio sangue deflagra nel capitolo contemporaneo il campo di tensioni immanenti alla provincia e al provincialismo italiano.
Enrico Riccardo Montone
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