Un agente temporale, interpretato dall’attore Ethan Hawke, ha il compito di viaggiare in segreto nel tempo per impedire i crimini di futuri killer e terroristi. L’ultimo incarico che gli viene assegnato prevede che egli recluti sé stesso da giovane per rintracciare l’unico criminale che da sempre continua a sfuggirgli. L’ultimo film diretto dai fratelli Spierig, Predestination, rappresenta un vero e proprio rompicapo filmico; l’azione dei personaggi risulta indipendente rispetto alla dimensione temporale dell’opera, cosicché lo spettatore assiste soltanto a un piccolo frammento del respiro-tempo della vita reale.
Negli ultimi dieni anni, si è andata ancor più rafforzando questa concezione quantitativa del tempo, attraverso un ulteriore percorso di radicalizzazione: la linea retta della Nouvelle Vague si è spezzata in mille segmenti, in rivoli narrativi che mostrano soltanto frammenti di tempo. La fruizione stratificata dello zapping televisivo in qualche modo trova il suo rispecchiamento estetico anche nella narrazione cinematografica. Il film dei fratelli Spierig, seguendo la scia di film quali Pulp Fiction diretto da Quentin Tarantino (1994) Memento diretto da Christopher Nolan (2000) e di Looper diretto da Rian Johnson (2012), diventa in tal senso un “puzzle” da rimontare, non permettendo al contempo allo spettatore di “vedere troppo” e lasciando che descrizioni parziali creino quei buchi necessari allo svelamento che verrà.
I due registi hanno “giocato” con i trucchi, sperimentando soluzioni linguistico-cinematografiche di grande impatto. I trucchi, infatti, rendono irriconoscibili i personaggi, i loro volti, in modo tale da non farli riconoscere immediatamente allo spettatore. L’invito costante, combinato all’ambizione smisurata, è questa idea originale di cinema di mantenere segreto il finale. Il passaggio da nuove strutture a un nuovo modello di comunicazione è breve, ma non automatico. Alla base di questa mutazione del cinema da parte dei fratelli Spierig c’è infatti una scelta consapevole degli stessi autori, che vogliono confrontarsi con un target specifico di pubblico e con una modalità ben determinata. Essi propendono per la molteplicità dei caratteri del film: una policromia e una polifonia che segnano la ricchezza narrativa. In tal senso, la scansione temporale dell’articolazione dei contenuti ne compone la struttura.
Il gioco del gatto col topo che Predestination conduce insieme allo spettatore forse necessitava di una maestria più esperta per raggiungere la perfezione, ma è indubbio che la coerenza con la quale Michael e Peter Spierig scrivono e dirigono questa piccola chicca di fantascienza superi i limiti del genere. Appassionati di labirinti mentali, ampi scenari fantastici in cui muovere i personaggi e piccoli mondi. È un “cinema di architettura”. D’altra parte, vi è un rapporto circolare tra gli spettatori e il viaggiatore che vivono in precarietà, in una inconsapevolezza confusionaria, procedendo nell’interpretazione per piccoli pezzi, almeno fino alla conclusione.
Enrico Riccardo Montone
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