Parametri oggettivi e gusto del pubblico sono sempre più convinti che Nymphomaniac (volume I e II) dell’anticonformista Lars von Trier, dopo essere stato tanto atteso quanto ostacolato, sia da considerarsi una produzione geniale da parte di un eccezionale regista. L’arte della provocazione con cui viene mostrato e discusso un grande tabù rigettato dalla nostra società, insieme al continuo intreccio tra il nucleo centrale della storia (la ninfomania della protagonista) e ogni aspetto della nostra cultura (arte, filosofia, religione, tradizione, musica), riescono a spiegare e a rendere quasi più sopportabili gli aspetti maggiormente brutali dell’opera.
Le scene sessualmente spinte e violente si susseguono senza sosta in tutta la propria crudezza nel corso delle circa quattro ore di proiezione; nessuna di queste, tuttavia, è lasciata al caso. Piuttosto, ciascuna contiene un significato ben preciso, nonché una funzione dimostrativa a scopo quasi didascalico:una donna dal volto tumefatto e ferito racconta la propria vita all’uomo che l’ha raccolta e soccorsa; Joe dice di sé stessa che è una persona spregevole, colma di egoismo e di peccati. Poi, tanti uomini. Sfidati, sfruttati, derisi, abbandonati, posseduti, distrutti. Poi, le sfide in treno con un’amica di avventure: un sacchetto di cioccolatini sarà il premio per chi delle due si accoppierà con più maschi lungo il viaggiare. Poi, soprattutto, evitare l’amore, suprema debolezza del desiderio. Eventi, piaceri, morte, solitudine. Tutto immerso nella piena, feroce e trionfante naturalità della nostra specie. E poi insetti, galassie, felini. Natura che accompagna altra natura e la sostanzia di assurdità e di senso. Non mancano, ed è tipico di von Trier, allusioni al demoniaco, al blasfemo male dell’anima. La lussuria, il peccato della Ninfa sposa del Satiro (da cui deriva il termine ninfomania), il quale è spesso raffigurato come un uomo con le corna, la coda e le zampe di capra.
È una lunga e profonda storia che scorre sul letto del fiume, narrata in un contesto quasi terapeutico e che trascina lo spettatore fino all’orlo del precipizio. A tratti, i due capitoli si presentano allucinati e cupi, nonostante la straordinaria ricchezza quasi barocca che scava alla ricerca di ogni dettaglio, fino a trovarvi profondità e significati reconditi e congiunti tra loro, in un ritmo circolare che lascia convergere tutto ai fini del senso universale e panteistico che può avere una vita per chi ne è il protagonista – in questo caso Joe, la ninfomane senza empatia per l’essere umano.
Joe è un ritratto di profonda e inconsolabile solitudine, di pentimento e indecisione continui, una creatura in adorazione e in funzione della propria vagina e di essa soltanto, incapace di scendere a patti con la morale sociale e in continuo fallimento e depressione per i suoi tentativi di farlo. Il secondo volume amplifica ulteriormente la caratteristica filosofica/intellettualoide, sfruttata come veicolo di ulteriore sperimentazione registica, spesso stuzzicata da curiosi estratti documentaristici e non, che suggestionano e stimolano un certo senso di arguzia e inusuale ironia, centralizzando anche una conflittualità implicita tra i due interlocutori che si confessano agli antipodi: l’onnisciente e la grezza sapienza dell’esterno. Forzando la mano su una voluta inverosimiglianza del racconto, von Trier ci rende partecipi del suo voler completare in ogni sfumatura la trattazione sessuale.
Nymphomaniac è per certi versi il film catalizzatore di Lars von Trier, dove numerosi sono i rimandi visivi, oltre che tematici, ai suoi precedenti lavori. Basti pensare al semi-rifacimento del prologo di Antichrist o al rimando alle asettiche scenografie (non così estremizzate) di Dogville nei sobborghi del ritrovamento. Vi è altresì un richiamo ai costanti quesiti masochistici del regista, questa volta posti con la voglia di reagire alla commiserazione, accettando il fatto di essere imperfetti, godendo della propria pretenziosità e facendosi egregiamente beffa della morale di colui che è onnisciente, del suo ascolto, del suo giudizio etico, artistico, teologico e/o analitico che sia, e sbarazzandosene una volta svelate le relative e fuorvianti intenzioni.
Enrico Riccardo Montone
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