Dopo l’inno alla vita e all’amore che Max Gazzé ha dedicato nell’album Il padrone della festa insieme a Niccolò Fabi e Daniele Silvestri e dopo aver spiegato quanto sia “dolce” la vita e aver indagato l’amore nella sua forma più comune, sincera e realistica con un sound leggero e toccante, orecchiabile, semplice, ma vero e divertente, il cantante romano approfondisce la sua conoscenza della vita e del sentimento nel suo ultimo album Maximilian, pubblicato il 30 Ottobre 2015. Anticipato dal singolo La vita com’è, in cui Max Gazzé sembra aver fatto proprie le lezioni sull’amore nella sua vita personale – «l’amore porta guai, c’è chi non si riprende più» -, si fa maestro, in un mix di poesia ironica incorniciata da una musica veloce, quasi popolare: «Guarda me, prendo tutta la vita com’è, non la faccio finita», facendosi consolare da un semplice caffè e scagliandosi contro le “malelingue”, a quanto pare vere artefici della fine della storia d’amore cantata nel brano.
Romantico, e timido, eccentrico poeta, lo è sempre stato, Max Gazzè, sin dai tempi de Il timido ubriaco e Mentre dormi, passando poi per L’uomo più furbo e il Solito sesso. Qui il suo tipico romanticismo è accompagnato da una visione più ampia e da temi più universali, nonché da una sorta di fatalismo; infatti, la maggior parte dei brani tratta di amori distanti o finiti o impossibili: «Ti scorderò, ti rivedrò, ti abbraccerò di nuovo, per ricominciare», canta al futuro in Mille volte ancora, cioè nel tempo di ciò che non è ancora; i suoi celebri giochi di parole sono sempre presenti e canta ad una non meglio conosciuta Teresa per la quale è finito l’amore, allontanandola in modo comico e ritmico. Ecco alcune strofe: «Farai meglio a preservare questo nostro rimasuglio di un’intesa, Teresa», «è giusto che ora ti levi di dosso tutta la vita mia, come facevi, ma troppo spesso, con la biancheria», e «Teresa tu non prendertela a male, niente è capirai di personale». Arriva anche a toni più alti, aulici, come in Un altro immenso cielo, dove alle rime semplici e pure, si ricompongono tasti di pianoforte in primo piano che accompagnano la storia.
Nel suo personale stile da ironico ribelle, Max Gazzé è di nuovo in grado di emozionare, con le sue lune cadute, le sue bimbe innamorate, i suoi idilli petrarcheschi fatti di fiumi, stelle e soli, con un dolore in sottofondo ed una malinconia che può essere vissuta serenamente solo prendendo una mano, solo con l’amore; confessore della possibilità che vi sia una semplicità nella vita, e che questa semplicità affiora solo se si riesce a prendersi meno sul serio, soprattutto nei fatti dell’amore. Ispirato da una sorta di pensiero orientale, sembra riecheggiare il Confucio del bel assioma: «La vita è semplice, perché complicarla».
Luca Occhilupo
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