Sono trascorsi 22 anni dalle narrazioni di Jurassic Park e 18 anni da Il mondo perduto – Jurassic Park entrambi diretti dal regista Steven Spielberg. Dopo la regia dei primi due film, il franchise è proseguito con Jurassic Park III (2001) diretto da Joe Johnston e Jurassic World (2015). Steven Spielberg rimane come produttore esecutivo, mentre la direzione dell’ultimo film è stata affidata a Colin Trevorrow. Dopo il deludente film diretto da Johnston, dimostrazione che non si sapeva più cosa inventare con una formula parascientifica, ecco che le porte del parco si spalancano e si tenta di rivitalizzare un franchise dato per disperso nella babele di blockbuster odierni sempre più piegati alle esigenze commerciali e di mercato.
L’intento del regista di questo nuovo episodio è ragionare su più livelli: da un lato sembra rivolgersi ai ragazzini tentando di realizzare i loro sogni con degli effetti tendenti al “disney-horror”, mentre dall’altra tenta di congiungere due lembi di tessuto con una cucitura provvisoria, una metafora sullo scontro generazionale tra verità e finzione. D’altra parte il cinema è testimone infallibile ma allo stesso tempo fabbrica di sogni anche perché esso è primariamente opera di selezione, tanto in fase di ripresa quanto in fase di montaggio. La tecnica 3D, tanto osannata da molti recensori, è sì competente e ben relazionata al film ma, paradossalmente, elemento ultimo dello stesso.
Il risultato sembra accontentare soprattutto i piccoli fan, gli animalisti, così come i semplici nostalgici dei tempi che furono. Il merito di tutto ciò risiede anche nelle buone scelte compiute durante i casting: la coppia Chris Pratt-Bryce Dallas Howard funziona piuttosto bene, con il protagonista che, dopo le esperienze in Guardiani della Galassia (2014) e The LEGO Movie (2014) in cui prestava la voce, sempre più viene considerato come il nuovo Harrison Ford. In tal senso, poco adatti sono invece Irrfan Khan, tra i protagonisti del film Vita di Pi (2012) diretto da Ang Lee, che è una sorta di mix di stereotipi sul mecenate vittima delle sue stesse ambizioni e in secondo luogo Vincent D’Onofrio, fuori luogo sin dalla prima apparizione nei panni di un villain che sembra un vero e proprio cliché vivente – ovviamente militare guerrafondaio – più antico degli stessi dinosauri.
Tuttavia, nonostante il film non sia stato diretto e sia stato abbandonato da Steven Spielberg ancora in fase di scrittura, Trevorrow è riuscito a risolvere una impasse. Dopo alcuni lavori poco conosciuti, questo film viene considerato come una sorta di biglietto da visita dell’autore, che mette in mostra le proprie capacità al fine di “sedurre” il pubblico. Il film non sembra ricercare il rigore stilistico della registrazione del reale, ma si basa sulla gradevolezza di uno spettacolo messo in scena riuscendo ad inserirsi all’interno della continuità produttiva. È sicuramente più ispirato e coerente nonché più rilevante del terzo episodio della serie del 2001, deludentissima prosecuzione dei capostipiti.
Enrico Riccardo Montone
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