Fino al prossimo 5 novembre sarà possibile visitare a Siracusa la mostra, realizzata da Icons, di Steve Mccurry, uno tra i massimi esponenti della fotografia di tutti i tempi. Seguendo la strada dei caratteristici vicoli di Ortigia, in via Gargallo, si giunge presso l’ex convento San Francesco d’Assisi: luogo adibito all’esposizione di oltre cento scatti del fotoreporter statunitense. Sono in molti, in particolare turisti stranieri, a partecipare alla mostra che rappresenta un’importante vetrina per l’offerta culturale della città siciliana. Il contenuto dell’esposizione è senz’altro pregevole: sono presenti, infatti, alcune delle fotografie più significative dell’esperienza quarantennale del fotografo.
Mccurry ha trascorso gran parte della sua vita a visitare i luoghi più affascinanti del pianeta, nei quali l’uomo conduce uno stile di vita ben lontano da quello che contraddistingue la cultura occidentale. Afghanistan, Birmania, Giappone, Pakistan, India, Cina: sono questi i Paesi che hanno costituito per anni la scenografia degli scatti del fotografo americano. Mccurry ha sempre tentato di immortalare le abitudini, i costumi, le emozioni degli abitanti del luogo nell’essenzialità della vita quotidiana.
Il volto dei soggetti inquadrati esprime, il più delle volte, lo stupore causato dalla vista della macchina fotografica, strumento sconosciuto ancora in molte parti del mondo. In altri casi, invece, comprendere il significato delle espressioni dei protagonisti di questi ritratti risulta molto più complesso. Ciascuno di loro racconta una storia a sé stante e porta sulle spalle un vissuto che viene impresso nell’immediatezza di uno scatto, scevro da qualsiasi posa che ne limiti l’autenticità. «Ho imparato a essere paziente. Se aspetti abbastanza, le persone dimenticano la macchina fotografica e la loro anima comincia a librarsi verso di te» è uno dei motti più celebri di Mccurry, la cui veridicità risalta con immediatezza agli occhi anche dell’osservatore più distratto.
Ne è un esempio lampante la foto qui di fianco che ritrae il volto di una bambina pakistana, scatto divenuto il più celebre dell’intera produzione di Mccurry per via della sua diffusione da parte del National Geographic. Nel commentare questa foto, Mccurry racconta di aver richiesto di poter entrare in una scuola e scattare qualche foto ai bambini lì presenti. Rimase quindi colpito dalla perplessità che traspariva dagli occhi di questa bambina, ignara del perché quell’uomo si fosse avvicinato a lei impugnando quello strano arnese, tanto da scappare fuori dall’aula dopo qualche istante. Questa espressione timorosa, ma che al contempo esprime la più genuina curiosità, è diventata una delle immagini maggiormente ispiratrici della fotografia degli ultimi decenni e la giovane qui raffigurata una vera e propria icona a livello mondiale.
Gli scatti di Mccurry permettono inoltre di venire a contatto con culture millenarie, popoli provenienti da ogni parte del mondo, vicende umane talmente distanti dal modus vivendi occidentale da risultare difficilmente comparabili ad esso. Il taglio di capelli, i gioielli, gli indumenti indossati: tutti elementi che in pochi istanti sintetizzano l’enorme differenza tra tradizioni e valori che da secoli vengono tramandati immutati da una generazione a un’altra. Eppure le espressioni di donne e uomini a noi così lontani, provenienti da paesi remoti, sono talmente umane che risulta impossibile non rimanere ipnotizzati dal profondo dei loro occhi, dai colori vivi dei loro indumenti, dai lineamenti così aspri, marcati dal freddo, dalle guerre, dalle sofferenze. Passando per le sale dell’ex Convento San Francesco d’Assisi, l’esposizione di Icons rende possibile un viaggio attraverso mondi differenti, permettendo allo spettatore di divenire, per qualche istante, un pescatore birmano, un monaco shaolin, uno studente pakistano, un soldato afgano.
Ogni scatto racconta il peso delle tradizioni, la fatica del lavoro, gli orrori della guerra e della povertà. In questi luoghi la vita compie il suo corso oltre la frenesia della vita moderna, oltre la tecnologia e le logiche consumistiche. Ciascuno di questi uomini ha un suo speciale posto nel mondo: la bravura del fotografo sta nel saper raccontare queste vicende esistenziali tramite l’autenticità di una singola espressione, cristallizzata in uno scatto. Il fotoreporter statunitense, ben conscio del valore della sua esperienza, ha trascorso gran parte della vita viaggiando. In viaggio, attraverso la sua indomita ricerca, ha raccontato le storie di centinaia di individui, il cui vissuto contribuisce in maniera sempre esemplare alla composizione dell’immenso mosaico dell’umanità.
Francesco Laneri
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