BOLOGNA – Il fascino misto all’inquietudine che l’epoca del Medioevo reca in sé, è dovuto all’alone di mistero da cui i secoli bui sono tuttora contornati. In quel periodo della storia, dove l’Italia ancora non era un Paese unito ma suddiviso in tanti spicciolati (come Niccolò Machiavelli definiva tutti quegli staterelli da cui il nostro stivale era composto), è stato un tempo disseminato da più ombre che luci, e quelle ombre rimangono, nei giorni nostri, ad affascinare il turista che si reca nelle città italiane.
Bologna è senza dubbio la città medievale per eccellenza tra le eccellenze italiane, quella che meglio di altre è in grado di portare alla luce il mistero dei tempi medievali. Questa «vecchia signora dai fianchi un po’ molli, col seno sul piano padano ed il culo sui colli» (per riecheggiare Guccini), nasconde tra i suoi viottoli acciottolati e i suoi sinuosi quartieri, tra le sue antiche mura e le sue dodici porte (numero non casuale dato che dodici erano gli apostoli e Bologna era tra le città preferite da tutti i pontefici che hanno attraversato i saloni della curia romana), sette misteri di cui qualsiasi turista può avere notizia spulciando una guida o tramite una veloce ricerca sul web.
Oltre a questi misteri, oltre alla storia della Torre degli Asinelli e dei Garisenda e a tanti altri eventi che hanno reso Bologna ciò che è oggi, c’è un altro enigma, molto più recente rispetto a quelli che gli abitanti del capoluogo emiliano hanno potuto raccontarsi per generazioni nei secoli. Il segreto si trova nel cuore del ghetto ebraico, a pochi passi da via Indipendenza. Neppure un accorto turista potrebbe accorgersi che sotto un portico di via dell’Inferno si apre un piccolo foro quadrangolare esattamente sul portone d’ingresso del palazzo. Si raccontache durante il secondo conflitto mondiale, in quel palazzo abitato da numerose famiglie di origine ebraica, sia stata costruita una minuscola stanza segreta tra il pianterreno e il primo piano. Nel momento in cui si sentiva bussare o suonare, tutti i condomini dello stabile andavano a rifugiarsi in quello stanzino che come unica finestra sul mondo aveva quel minuscolo pertugio. Ora bisogna immaginare decine di anziani, donne, uomini e bambini, stipati in quel piccolo locale che, con il terrore negli occhi, senza emettere alcun rumore per paura di essere scoperti, cercavano di scorgere da quella fessura chi ci fosse di fronte al loro portone: un elmetto nero di una SS armata di tutto punto arrivata lì per portarli via? O un partigiano che trafelato cercava di portar loro il poco cibo che era riuscito a rinvenire sui colli tra un conflitto e l’altro? Questo non è dato saperlo. Non è un caso se, a pochi passi da via dell’Inferno, si apre un’affascinante piazzetta, che oggi prende il nome di piazzetta Marco Biagi, un altro martire della recente storia italiana.
Luca Occhilupo (articolo)
Paolo Terni (photogallery)
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