I due candidati alla Casa Bianca, la democratica Hillary Clinton e il repubblicano Donald Trump, sono ormai prossimi al fatidico election day: l’8 novembre le urne sveleranno chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America. L’eredità che andrà a raccogliere il futuro presidente degli USA non è certo roba da poco: dopo 8 anni di presidenza firmata Barack Obama, gli americani hanno di certo grandi aspettative sul loro futuro leader. Eppure gli stessi non sembrano convinti appieno dai due aspiranti candidati. Infatti, secondo un sondaggio condotto da Huffington Post e YouGov, se per il 31% degli americani la Clinton è la peggior candidata democratica degli ultimi 40 anni, per il 45% Trump lo è per i repubblicani. Lo storico inglese Andrew Roberts ha voluto commentare questa situazione, ridando nuova vita a una battuta di Henry Kissinger sulla prima guerra tra Iraq ed Iran: «Peccato che non possano perdere entrambi».
«De duobus malis minus est semper eligendum» sosteneva lo scrittore latino Lucio Accio e per molti americani così è: del resto, nonostante Trump abbia ormai perso quell’abbondanza di consensi che sembrava avere durante i primi tempi della propria campagna elettorale, i repubblicani preferiscono votare a prescindere il loro candidato, piuttosto che far vincere il leader del partito oppositore. I repubblicani non hanno un presidente appartenente al loro partito dal 2009, data della fine del mandato di George W. Bush e di elezione di Barack Obama, primo afroamericano a divenire leader degli USA, che ha rivestito due mandati presidenziali (periodo massimo consentito dal 22° emendamento della Costituzione degli Stati Uniti). Non bisogna nemmeno scordare la questione inerente al seggio della Corte Suprema, lasciato vacante dal deceduto giudice repubblicano, Antonin Scalia: al prossimo presidente toccherà eleggere il nuovo giudice e, implicitamente, politicizzare l’organo giudiziario in questione.
Clinton e Trump, tra l’altro, non hanno proprio le mani pulite: se l’eccentrico miliardario è stato più volte accusato (anche da persone a lui vicine come il suo vice, Mike Pence) a causa di alcune dichiarazioni sessiste e denigranti nei confronti delle donne, oltre ad essere criticato per la proprio linea politica, dura e conservatrice, sprezzante dei flussi migratori che (un tempo) resero grande l’America; la moglie del presidente statunitense annata ’99 (Bill Clinton), non nuota in acque poi così limpide. Infatti (secondo quanto riporta panorama.it) sarebbe saltato fuori che la Clinton usò, quando fu segretaria di Stato, dei server di posta elettronica privati: scrivendo ciò al Congresso il 28 ottobre scorso il direttore del FBI, James Comey, ha riaperto un’indagine reputata archiviata ben tre mesi fa. L’indagine verteva sullo scandalo legato al caso Weiner, qui il suddetto (ai tempi marito di Huma Abedin, una delle più strette collaboratrici di Hillary) fu accusato di texting a sfondo sessuale nei confronti di una quindicenne.
Ad aggiungere un po’ di pepe alla questione (come se già non fosse piccante di per sé) è stato il momento in cui sono saltate fuori tali informazioni, cioè nel periodo di massima difficoltà del tycoon repubblicano. Trump, infatti, era uscito sconfitto da tutti e tre i dibattiti pre elettorali ed era stato lasciato solo persino dai suoi alleati, tanto che prese vita l’idea di mettere sotto accusa il miliardario tramite il potere di impeachment (qualora fosse salito) per poi far salire il suo vice, Pence. I dibattiti, comunque, hanno soltanto mostrato al mondo non tanto i pregi dell’uno o dell’altro, ma i difetti: tre botta e risposta dove si faceva a gara ad infamare di più il rivale.
A spiegare bene, invece, i numeri da avere in termini di voto per poter vincere la corsa alla Casa Bianca, è Repubblica.it: per essere eletti servono 270 su 538 voti dei Grandi Elettori (componenti del Collegio Elettorale americano, ogni Stato possiede un numero di elettori pari al numero di deputati e senatori a cui quello stesso Stato ha diritto). Hillary ad oggi ne detiene 192, mentre Donald 115. Il tycoon, tuttavia, ha 16 stati sicuri di votarlo, Clinton solo 15: questi sono i cosìdetti Safe States, al contrario gli Swing States sono quegli stati dove ancora il loro schieramento è sconosciuto. Tra questi la Florida che detiene 29 grandi elettori: la popolazione è formata da molti ispanici che, per ovvi motivi, non appoggiano Trump e sembrano essersi schierati con i democratici; viceversa il Texas, con 38 grandi elettori, è fortemente repubblicano e conservatore. Tuttavia, mentre il ricco miliardario aspirante candidato comprometterebbe la sua ascesa perdendo la Florida, la moglie di Bill Clinton potrebbe tranquillamente perdere il Texas e andare avanti spedita nella sua corsa alla Casa Bianca. Menzione d’onore per l’Ohio, accanito sostenitore di Kasich, concorrente battuto da Trump alle primarie dei repubblicani: voterà il loro rappresentante o si “vendicherà” cambiando fronte? Comunque, secondo quanto riporta Politico.com, 20.000.000 di persone avrebbero già votato tramite la procedura che consente di farlo per corrispondenza, qui Hillary sembra essere in vantaggio.
Il programma elettorale della candidata democratica prevede, in sintesi, eguaglianza sociale (in particolare sul fronte della parità dei diritti delle donne di colore) e investimenti in infrastrutture, energia pulita e ricerca scientifica; spazio anche a una riforma fiscale che incentivi gli americani a non emigrare, soprattutto i piccoli prenditori. Il repubblicano, invece, ha come obiettivi principali l’aumento dei posti di lavoro, la diminuzione del debito pubblico e una serie di agevolazioni fiscali per le classi meno abbienti. Tuttavia, il punto più forte del programma politico di Trump è certamente quello inerente alla riforma sull’immigrazione, con conseguente innalzamento di un muro al confine con il Messico. C’è spazio pure per una rivoluzione in politica estera: gli USA, promette Trump, sconfiggeranno l’ISIS una volta per tutte, allenteranno le proprie tensioni con gli storici rivali di Russia e Cina, faranno pagare di più ai Paesi NATO per la difesa (e qualora questi si rifiutassero? «altrimenti si difendano da soli» la sua risposta, riportata su forexinfo.it), faranno di tutto per impedire all’Iran di avere accesso al nucleare e spedire truppe all’estero solo se indispensabile.
Ecco quindi a seguire, in esclusiva, direttamente da New York una testimonianza di come la Grande Mela viva gli ultimi giorni che poi porteranno all’Election Day: «Qui a New York il sentimento preponderante è certamente l’incredulità. Nessuno, all’inizio, avrebbe scommesso che Trump arrivasse fino in fondo, eppure The Donald potrebbe essere il nuovo presidente degli Stati Uniti. La possibilità esiste, ed è un pensiero terrificante. Ecco perché sui social media, in TV e sui giornali la parola d’ordine è “Vote”. La sensazione generale è che votare sia imperativo, non tanto per eleggere Hillary, quanto per impedire che venga eletto Trump. Non bisogna dare nulla per scontato, né fare troppo affidamento sui sondaggi. Nessuno dei due candidati sembra essere quello ideale per la presidenza, soprattutto dopo Obama. Nella Big Apple, Hillary è probabilmente favorita, ma solo una parte dei suoi sostenitori la voterà per ragioni di meritocrazia, per vedere finalmente infranto il famoso soffitto di cristallo. Il resto la vede come il male minore».
Conclude poi: «Se si parte dal presupposto che tutti i politici sono corrotti, meglio avere un presidente che può, potenzialmente, “get things done”, e non solo parlare a sproposito. Questa pare essere anche l’opinione collettiva».
In uno scritto de Il Principe, Niccolò Machiavelli affermò che ci sono «due modi di combattere: l’uno, con le leggi; l’altro, con la forza. Il primo modo appartiene all’uomo, il secondo alle bestie. Ma poiché molte volte il primo modo non basta si rende necessario ricorrere al secondo». A sua detta così «il principe è dunque costretto saper essere bestia e deve imitare la volpe e il leone […] volpe per conoscere le trappole, e leone per impaurire i lupi»: reinterpretando le parole di uno degli uomini più brillanti dell’Italia del 1400/1500 alla luce delle elezioni americane si può facilmente dedurre come le due caratteristiche delle fiere citate non confluiscano in un’unica figura, ma si scindano: Hillary sembra, quindi, essere la volpe, Trump il leone.
«Chi meglio ha saputo farsi volpe, meglio è riuscito ad avere successo». E chi se non Hillary? Giunta forte ai dibattiti dopo una polmonite, al contrario dell’avversario che sembrava logorato dal suo banale raffreddore, ma che sta perdendo punti in ogni caso, non essendo riuscita ad arginare le ombre che aleggiano sul suo passato da segretaria di stato. «Non si guarda ai mezzi, ma al fine», e Hillary questo lo sa: infatti, ha tirato fuori ogni peggior precedente del passato del rivale, dagli omessi redditi alle dichiarazioni sessiste. Alla fine, per Machiavelli, «un principe, dunque, non deve realmente possedere tutte le qualità, ma far credere di averle […] il suo animo deve essere sempre pronto e a sapere mutarsi nell’esatto contrario»: che Trump al potere non muti rivelandosi poi il candidato di cui l’America avrebbe bisogno? Sembra un’utopia, eppure ogni cosa è possibile fino a prova contraria.
Francesco Raguni
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