Il prossimo 8 novembre le urne riveleranno il nome del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America: i democratici sono rappresentati dalla rocciosa Hillary Clinton, i repubblicani dall’eccentrico Donald Trump. Eppure vi è un professore, Allan Lichtman (69 anni), insegnante di storia presso l‘American University di Washington, che – da 32 anni ad oggi – ha sempre saputo con largo anticipo chi avrebbe vinto la corsa alla Casa Bianca. Lichtman, tuttavia, non è né un veggente né tanto meno un sensitivo, è semplicemente un uomo che si è affidato ad un sistema matematico, distante da sondaggi elettorali e opinioni politiche di qualsiasi natura.
Il professore in questione, infatti, ha studiato tutte le elezioni americane a partire dal 1860, riuscendo a stilare una lista di 13 domande (della tipologia vero/falso) capaci di rivelare chi vincerà le elezioni presidenziali negli USA. A sua detta, ai microfoni del Corriere della Sera, il sistema non ha mai fallito e, quest’anno, il risultato del procedimento matematico è fin troppo chiaro: a vincere le elezione sarà Trump, il leader dei repubblicani. L’eloquente nome del metodo studiato da Lichtman è Keys to the White House, illustrato all’interno del libro Predicting the Next President: delle 13 domande, soltanto le ultime due hanno una risposta non oggettiva in quanto si fondano sul carisma che il candidato ha. Le prime 11, invece, incidono sul panorama politico attuale, sull’economia, sulla politica estera, ecc. Ogni “vero” sarà un punto a favore del partito in carica, ogni “falso” un punto a favore dell’aspirante opposizione: se almeno sei risposte risultano false, quindi, dovrebbe vincere il partito non incarica.
Ecco quindi a seguire le 13 chiavi, riportate da corriere.it:
Lichtman parla a carte scoperte: «Il mio pronostico non è influenzato dalle opinioni, ma è solo frutto del sistema. Quest’anno Trump ha reso la previsione molto più complicata del solito, ma secondo il sistema vincerà: i democratici sono andati male alle elezioni di metà mandato, il presidente in carica non è in gara, non ci sono state grandi riforme come quella sanitaria effettuata nei primi quattro anni di Obama, non ci sono stati importanti successi in politica estera e Clinton non ha il carisma del suo predecessore». La domande n. 1, n. 3, n.7, n. 11 e n. 12 sono quindi false; ne manca una, però: «Il fattore terzo partito, ovvero Gary Johnson». Anche la domanda n.4, quindi, risulta essere falsa: Johnson ha un potenziale tale da poter raccogliere almeno il 7% dei voti su scala nazionale, e, per il sistema creato dal professor Lichtman, se un terzo schieramento dovesse avere la capacità di raccogliere almeno il 5% dei voti, il partito in carica verrebbe sconfitto. Probabilmente è questo l’unico dei 13 punti che getta una minima occhiata ai sondaggi elettorali.
Donald Trump incarna la figura del candidato alla Casa Bianca vicino al popolo e per il popolo. Urla, è religioso, appariscente, eccentrico, conservatore e guerrafondaio: è l’idolo della masse. Tuttavia, sempre secondo Lichtman, il partito repubblicano lo appoggia per un secondo fine: vincere la corsa per il nono seggio della Corte Suprema. Infatti, con la morte del giudice conservatore Antonin Scalia, il massimo organo statunitense ha perso una forte componente politica peraltro importante, dato il ruolo delicato di indirizzo politico che riveste e che l’ha resa perfettamente equilibrata. Il partito che vincerà politicizzerà la Corte; una situazione tale non accadeva dalla Presidenza Nixon del 1971.
«I repubblicani faranno di tutto per evitare che sia Clinton a nominare il giudice mancante e scongiurare trent’anni di Corte Suprema democratica» conclude Lichtman, senza escludere un eventuale “tradimento” del partito nei confronti del suo candidato dopo l’ipotetica vittoria delle elezioni e la conseguente conquista del seggio della Corte Suprema: (premettendo che, negli USA, una volta decaduto dal mandato presidenziale l’attuale Capo dello Stato entra in carica il suo secondo) il partito repubblicano potrebbe chiedere l’impeachment nei confronti di Trump e portare alla Casa Bianca il suo vice, Mike Pence, religioso e conservatore, in poche parole «l’uomo che vogliono davvero».
Francesco Raguni
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