Il mezzo di scambio per ottenere telefoni cellulari, cibo, calzature di ogni genere e vestiti era solo uno: il sesso. Secondo quanto riportato da un rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite – per l’esattezza condotto dall’OIOS, ovvero dai servizi di investigazione interna delle Nazioni Unite – i caschi blu si sono quotidianamente macchiati degli abusi sopracitati nei territori presso cui erano stanziati. Nella relazione non si parla solo di prestazioni sessuali in cambio di oggetti, bensì anche in presenza di un pagamento pecuniario. «Le prove emerse in due missioni di peacekeeping dimostrano che le richieste di prestazioni sessuali sono piuttosto comuni, ma tenute sotto traccia», denuncia il dossier steso attorno al 15 maggio 2015.
Ad aggravare la situazione è l’età delle persone su cui sono stati commessi i misfatti: tra loro, infatti, sono presenti anche minori di 18 anni. Le denunce per abusi a sfondo sessuale ammontano a 480, in un arco di tempo compreso fra il 2008 e il 2013; i fatti, però, sono venuti alla luce del sole soltanto di recente. Le zone in cui militavano i caschi blu rei sono la Repubblica Democratica del Congo, la Liberia, lo Stato di Haiti, il Sudan e il Sud Sudan – tra l’altro, tra le ultime, figurano delle new entry nell’ONU. Il rapporto definitivo dovrebbe essere pubblicato intorno a lunedì prossimo, a circa un mese dallo scandalo.
Tra i capi d’accusa, anche quello di stupro nei confronti di bambine di 9 anni, di cui sono stati imputati i soldati francesi inviati nella Repubblica Centrafricana. Ad Haiti, invece, 231 persone intervistate singolarmente hanno esplicitamente ammesso di aver avuto «rapporti sessuali» con le milizie di peacekeepingin cambio di «monili, vestiti, intimo, scarpe, profumi, cellulari, televisori e, a volte, anche personal computer». Qualunque individuo si fosse sottratto a questo mercato sarebbe stato ricattato in ogni sorta di maniera. Diverso il caso avvenuto a Monrovia: un’indagine svolta nella città liberiana, ha svelato che, su un campione di 489 donne, più di un quarto è stato coinvolto in fatti simili per responsabilità dei caschi blu. Non si salvano nemmeno i civili facenti parte delle missioni: nonostante essi costituiscano soltanto il 17% del personale, infatti, risultano coinvolti nel 33% delle accuse all’interno del rapporto.
Ad oggi, a seguito dell’accaduto, sembra non si possa riporre fiducia neppure in coloro che vengono definiti portatori di pace. Se gli stessi rappresentati dell’ONU si abbassano a simili meschinità, portando con sé al posto della pace appena citata violenze e scandali, chi potrà fare giustizia e arrivare in soccorso delle vittime coinvolte, stavolta con la garanzia che non avvengano abusi?
Francesco Raguni
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