L’indotto del gioco d’azzardo a livello europeo o mondiale è difficile da quantificare: solo in Italia il gioco muove circa 100 miliardi di euro (cifra riferita al 2017). Nonostante le cifre importanti registrate nel Bel Paese, l’azzardo ha un numero di detrattori che va sempre più aumentando. Tra le accuse principali, spicca quella di minare la stabilità economica di molte famiglie e la salute mentale delle persone maggiormente soggette allo sviluppo di dipendenze.
Ciò nonostante le limitazioni al gioco non sono così ugualmente diffuse, anzi, in termini giuridici la nazione che applica le leggi più stringenti è attualmente l’Italia. Il Belpaese, al netto di un passato teso all’accoglienza delle grandi multinazionali del betting e con aziende nostrane in ottima salute, decide di dare una svolta e creare una serie di regole molto più stringenti tutte contenute nel recente Decreto Dignità. Su tutte parliamo di una legge che non ha altri simili nel mondo ed è il divieto di pubblicità e sponsorizzazione del gioco d’azzardo.
Entrato in vigore il 14 luglio 2018, votato dal Senato ad agosto e poi convertito in legge, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 agosto, il Decreto Dignità è una atto che tocca vari punti, dalla diminuzione degli anni di contratto per il tempo determinato al contrasto alle delocalizzazioni, passando per il ban pubblicitario del gioco d’azzardo. Insomma, nessuno si era mai spinto così in là e ora tutti puntano lo sguardo sul paese per capire se è possibile entrare così a gamba tesa su un comparto tanto ricco (nel 2017 gli italiani hanno giocato il valore equivalente di quasi 3 finanziarie), ma anche per scoprire quali saranno le azioni messe in campo dai grandi bookmaker nazionali e stranieri, che, a titolo di esempio, hanno già intensificato la proposta di promozioni in bonus specie per quanto riguarda l’offerta di scommesse e casinò online.
Il dubbio maggiore, tuttavia, riguarda quello relativa alla reale efficacia del provvedimento: lo stop alla pubblicità sarà sufficiente a contrastare il crescente dilagare dei disturbi da gioco d’azzardo? O piuttosto il provvedimento del Governo è destinato a produrre semplicemente una riduzione dei volumi del settore, senza in alcun modo venire in soccorso di chi già soffre di una dipendenza?
Di tutto l’articolo 9 (quello sull’azzardo) del DL, i commi più importanti sono decisamente quelli relativi al divieto di pubblicità e a quello di sponsorizzazione.
Il primo riguarda sia la pubblicità diretta che indiretta: non sarà più concesso nulla, ma le società che hanno stipulato contratti prima dell’entrata in vigore della legge potranno rispettare il contratto fino a scadenza e comunque non oltre un anno dalla stipula.
Più stringente il discorso sulle sponsorizzazioni. Tutte le società che hanno stipulato un contratto con un betting partner prima del 14 luglio potranno tener fede all’impegno solo entro il 1° gennaio 2019. Poco prima dell’entrata in vigore il vicepremier Di Maio, principale promotore del DL, dichiarò: “Le aziende corrono a sottoscrivere contratti prima che con il DL entri in vigore il divieto di pubblicità al gioco d’azzardo. Potenzieremo la norma transitoria. I contratti stipulati tra l’approvazione del decreto in CDM e la sua pubblicazione non saranno validi. Ma entro il 2019 cadranno tutti” e così sarà. In ambascia ci sono già numerose società sportive professionistiche che avevano stretto questo genere di accordo: da considerare che solo nella Lega Serie A di calcio sono ben 11 società su 20 ad avere un betting partner.
Quindi tutti ora guardano alla nostra realtà per verificare gli effetti di questo “stravolgimento”.
Alla conferenza della Iagr, International Association of Gaming Regulators, tenutasi a Copenaghen in settembre c’è stato anche un panel sulla situazione italiana definita letteralmente “uno dei temi di maggior interesse per l’industria globale del gaming in questo momento”. I relatori di quel tavolo, essendo addetti ai lavori e comunque esperti del settore hanno poi smontato l’entusiasmo confermando che si tratta di una sorta di interesse accademico più che una speranza che il sistema funzioni. La costruzione di questa argomentazione è cominciata dal fatto che nessuno al mondo ha intrapreso una scelta simile, anche se ci sono dei paesi che applicano delle restrizioni.
Australia, Macao, Giappone e Singapore sono esempi di stati che hanno limitato specifiche azioni di marketing e segmenti pubblicitari. Poi c’è il Belgio che sta per promulgare una legge che limiti lo spazio di manovra delle società che propongono casinò game (potranno solo fare pubblicità sui rispettivi siti e tramite direct marketing), le scommesse sportive invece non potranno andare in onda durante gli eventi sportivi, i programmi per minori e comunque non prima delle 20. Niente di tutto ciò è però assimilabile alla giurisprudenza italiana.
Da una parte ci sono associazioni consumatori, concilio episcopale, enti di aiuto e sostegno che intravedono nel decreto un possibile casus belli, un check point nel contrasto alla ludopatia che passa per questo divieto che si presume farà abbassare sensibilmente i volumi di gioco nei prossimi anni. Dall’altra ci sono gli addetti ai lavori che guardano preoccupati al caso italiano ritenendo che la pubblicità sia il più utile discrimine tra gioco lecito e illegale, ergo che questa soppressione non potrà che giovare al mercato parallelo del gioco. Si tratta di previsioni che andranno verificate sul lungo tempo, per il momento i riflettori restano puntati su di noi.
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