George Floyd era un cittadino americano, morto soffocato dopo essere stato violentemente bloccato a terra. L’autore di tale gesto è un suo connazionale, ma non un vicino di casa o un criminale, bensì un agente di polizia. George Floyd è stato ucciso da un uomo il cui lavoro è difendere il prossimo e mantenere l’ordine. Il gesto dell’uomo in divisa è stato ripreso da un passante, riaccendendo un dibattito sul razzismo così esteso da coinvolgere anche grandi nomi dello sport americano come Stephen Jackson e LeBron James.
Come spiegato anche dal vicedirettore de Il Post, Francesco Costa, noto per il suo libro “Questa è l’America”, George Floyd è stato ucciso a Minneapolis.
Nella giornata di ieri, 26 maggio, i gestori di un ristorante hanno chiamato la polizia per segnalare un uomo afroamericano. Dalle fonti che abbiamo raccolto le voci sono discordati: alcuni sostengono che stava per firmare un assegno falso, altri ancora che stava per pagare con una banconota falsa, altri addirittura che avrebbe mostrato un documento falso. Gli agenti, una volta arrivati nel luogo, hanno trovato Floyd nella sua macchina. E come riportato anche dal rapporto sull’accaduto, l’uomo afroamericano era ubriaco e sotto effetto di sostanze stupefacenti. E a causa di un “incidente medico” sarebbe poi morto. Tuttavia i testimoni dell’accaduto, i giornalisti americani e soprattutto il video che da ore rimbalza in rete dicono ben altro.
Il caso di George Floyd non ha scatenato tanto caos per caso. L’accaduto ha risollevato la discussione in America sul razzismo, ideologia non più legale da circa sessant’anni. Ciò è accaduto per via di quel video lungo e spaventoso, girato e reso pubblico da un passante, che mostrava chiaramente tutto lo scenario raccapricciante.
Nel video George è a terra, con il ginocchio dell’agente Derek Chauvin sul collo a fare pressione. Dagli esperti viene ribadito che la polizia è addestrata a non spingere con l’arto inferiore neanche sull’addome, poiché causa asfissia e successivamente la morte. In questo caso il punto colpito è ancora più delicato: la gola. La situazione non prevedeva alcuna necessità perché George Floyd si era tranquillizzato, già dai primi minuti diceva di non riuscire a respirare. “I can’t breathe“, urlava George mentre i passanti e il collega invitano l’uomo in divisa a farsi da parte, ma nulla.
Il rapporto ufficiale riportava violenza, aggressione e sostanze stupefacenti, il video reso pubblico dai testimoni ha mostrato una ricostruzione ben diversa.
Stephen Jackson ha espresso tutto il suo rancore sui social, sottolineando il fatto che lui e Floyd si conoscevano. Ma non è stata l’unica stella dello sport a esternare le proprie emozioni. Insieme a Jackson, anche LeBron James ha fatto sentire la sua voce tramite i social, facendo leva anche sugli ultimi casi, dove membri delle forze dell’ordine, per pregiudizio o per interpretazione errata dell’accaduto, hanno attaccato uomini e ragazzi di colore superando il limite.
Ma quale sarebbe tale limite? Il caso di Floyd è la dimostrazione. L’agente lo aveva piegato a terra, fuori dalla macchina, con il peso del corpo che premeva sulla parte più delicata del corpo. George Floyd non aveva più modo di respirare ed era quello il limite. Invece no, dal naso dell’uomo afroamericano inizia a uscire del sangue, lui è sviene, e nonostante i cittadini urlino non cambia nulla. Così come sembra non sia cambiato nulla da quando Kaepernick, lo sportivo di San Francisco, nel 201, abbia posato in ginocchio per far capire a tutti che il problema è ancora presente. In America, nonostante le leggi, il razzismo è ancora presente.
Il vicedirettore de Il Post, nonché autore del podcast Da Costa a Costa focalizzato sull’America di oggi, ha dedicato diverse pagine del suo libro “Questa è l’America” al tema del razzismo. Costa, in breve, spiega cosa accada da questo punto di vista in America:
«In una nazione che ha solo trecento anni di vita e ne ha passati duecentocinquanta a sottomettere i neri con tutta la forza dello Stato – la legge dei diritti civili è solo del 1964 – una segregazione così sistematica e con radici così profonde si è riprodotta spontaneamente a Flint (città del Michigan, ndr) (…)»
Ora i quattro agenti responsabili dell’accaduto sono stati licenziati, mentre l’FBI ha deciso di aprire un’indagine. Ma come fa notare Francesco Costa, e come ha anche detto in conferenza stampa il sindaco di Minneapolis, Jacob Frey, il razzismo ha origini più profonde degli isolati casi di polizia. Tuttavia questi stessi casi isolati dimostrano come in realtà sia un problema vivo, ancora oggi.
Quanto davvero bisognerà aspettare affinché tutta l’America riconosca il razzismo come un crimine?
Davide Zaino Pasqualone
Fonte foto: Profilo Instagram di Lebron James
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