Bradley Manning è stato un militare statunitense accusato di aver trafugato un’immensa quantità di documenti riservati, di proprietà dell’esercito americano, durante lo svolgimento delle operazioni belliche in Iraq: ad aggravare, poi, la sua posizione è stata la consegna di questo materiale a Julian Assange, l’artefice di WikiLeaks. La sua libertà è l’ultima vittoria della presidenza Obama II, seppur ad oggi negli USA comandi l’amministrazione Trump. Il 44° presidente degli Stati Uniti, infatti, poco prima della scadenza del suo mandato, ha commutato la pena iniziale di Bradley da 35 a 7 anni. Eppure nessuno ad oggi conosce il volto di Mr. Manning, o per meglio dire Miss Manning dato che, durante la sua permanenza dietro le sbarre, ha scelto di cambiare sesso e diventare Chelsea.
Eppure lei aveva semplicemente rivelato gli errori/orrori degli americani durante le campagne militari condotte in Afghanistan e in Iraq: proprio lei è stata scolpita da Davide Dormino, insieme ad Assange e Snowden, in un monumento al coraggio e alla libertà di parola, la scultura conosciuta come “Anything to Say” (CLICCA QUI per saperne di più). Ma andiamo nel dettaglio: il non troppo lontano 6 aprile 2010 un video in cui un Apache statunitense spara sui civili a Baghdad (uccidendo anche due cameramen dell’agenzia di stampa Reuters) fa il giro del web: a pubblicarlo è proprio WikiLeaks, la fonte di informazione creata da un Assange. Reuters, però, vuole saperne di più: la fonte di quel video salta fuori solo due mesi dopo, ad aver mandato il filmato è stato Bradley Manning, analista dell’esercito americano. Il filo di comunicazione tra i due non si finisce qui, il mese successivo WikiLeaks pubblica più di 90.000 file sulla guerra in Afghanistan; con il passare del tempo saltano fuori – secondo quanto riporta repubblica.it – più di 390.000 file sul conflitto bellico in Iraq, 251.000 documenti segreti della diplomazia americana e centinaia di informazioni su Guantanamo. È tutta opera di Bradley.
A questo punto il Governo americano non può più permettere che salti fuori altro materiale così scottante: Manning è inseguito, arrestato e incarcerato per 9 mesi in una prigione di massima di sicurezza. I suoi soli non sorgono e non tramontano: egli, in questa prigione, passa 23 ore al giorno in isolamento ed è costretto ad usare un tappeto come coperta, oltre che a vivere nel buio più totale in cui l’unico suono, oltre le strazianti urla del silenzio, è la voce delle sue guardie (a cui, secondo quanto riporta repubblica.it, doveva rispondere ogni 25 minuti). Le sue condizioni sono quindi dichiarate lesive dei diritti umani. Solo dopo una campagna internazionale a suo favore, nel 2013, Bradley/Chelsea viene processato davanti la corte marziale: la condanna stabilita dall’ente giudiziario militare è di 35 anni, è la più alta pena mai inflitta ad una persona che si sia resa fonte di informazioni. La denuncia della guerra del terrore condotta dall’esercito statunitense gli costa così una seconda prigione (stavolta esclusivamente maschile), oltre che la mancata erogazione delle cure idonee per il cambio di sesso.
Manning tenta perfino due volte il suicido, 35 anni così non passano davvero mai: eppure il 17 gennaio 2017, Barack Obama, forse per concludere in bellezza il suo secondo mandato, forse per mascherare gli errori commessi in Siria, forse ancora perché i file che aveva fatto trapelare Manning avevano fatto vergognare il mondo degli USA, commuta la sua pena in soli 7 anni. E così il 18 maggio, Bradley, ormai diventato Chelsea, è finalmente libera: già una campagna internazionale ha lanciato un crowdfunding per assicurarle il proseguimento delle cure necessarie. «Chelsea Manning è un eroina che ha ispirato molti. Non vedo l’ora – riporta repubblica.it – di incontrarla», ha dichiarato Assange non appena appresa la notizia.
«Capable generous men do not create victims, they nurture victims», Julian Assange.
Francesco Raguni
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