Si sa, se sei una donna in carriera, ancora oggi, dovrai confrontarti con un mondo del lavoro iniquo e, spesso, altamente discriminatorio. È una storia antica: lavori quanto i colleghi maschi, rispetti ordini e consegne, fai le ore piccole pur di ultimare un compito. Eppure la tua carriera non procede alla stessa velocità di quella dei colleghi, per non parlare dello stipendio decisamente più basso. Ma non c’è da temere, poiché presto le disuguaglianze di genere sul lavoro verranno attenuate. Molto presto, tra soli centodiciotto anni. Sarà il caso forse di mettersi comode?
Il Global Gender Gap Index fu ideato nel 2006 con lo scopo di analizzare e quantificare, in base a criteri ben precisi, il divario che separa gli individui di sesso maschile da quelli di sesso femminile, non solo dal punto di vista professionale ma sociale in genere. La classifica del 2015, pubblicata dal World Economic Forum, svela come nessun passo in avanti sia stato compiuto negli ultimi anni, poiché, di fatto, le donne guadagnano oggi pressoché ciò gli uomini si mettevano in tasca già nel 2006. Inoltre, secondo il Forum, occorrerebbero ancora molti anni, circa centodiciotto, perché si possa assistere a un’attenuazione del gender gap, cioè delle disuguaglianze di genere. Il Global Gender Gap Index prende in analisi le performance, in materia di parità dei generi, dei 145 Stati, i quali, a partire dalla sua creazione, hanno preso parte al progetto. Nello specifico sono prese in considerazione, oltre al mondo del lavoro, anche l’educazione, la salute, le opportunità economiche e politiche.
Stando a questi criteri, si piazza al primo posto l’Islanda, posizione che detiene già da sette anni consecutivi, in quanto ha quasi del tutto saldato il gender gap educativo e totalizza i più alti punteggi anche su ogni altro indicatore. Inoltre è la nazione con il congedo di paternità più lungo (novanta giorni). Le fanno compagnia sul podio altri due Paesi nordici: la Norvegia, la quale si aggiudica il secondo posto, perché le donne avrebbero maggiori opportunità di raggiungere posizioni di potere, e la Finlandia, che compare come terza classificata. Seguono la Svezia (quarta) e l’Irlanda (quinta), mentre tra gli Stati non europei che si sono posizionati nella top 10 troviamo Rwanda (sesta), Filippine (settima) e la Nuova Zelanda (decima).
E l’Italia? Per veder comparire il nome del Bel Paese è necessario scorrere molto più in basso nella classifica, fino ad arrivare alla quarantunesima posizione. Un risultato, di certo, un po’ deludente, anche se intorno al 2008, secondo quanto afferma Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum, erano stati fatti passi non indifferenti verso l’attenuazione delle differenze di genere. La crisi, tuttavia, avrebbe catapultato il Paese indietro di anni. A detta della sociologa Chiara Saraceno, invece, proprio in seguito alla crisi economica in Europa, nel Paese si sarebbe registrata una riduzione del gender gap per quanto riguarda l’occupazione, la disoccupazione, la quantificazione dei salari, ma soltanto perché sarebbero peggiorate le condizioni degli uomini. Una realtà che non consola affatto.
Debora Guglielmino
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