Era l’ultimo campione della lega a non aver ancora sciolto le riserve sul suo futuro. Ormai separato in casa con i Knicks, Carmelo Anthony non ne voleva proprio sapere di trascorrere un altro anno (si sarebbe trattato dell’ottavo) in quel di New York e da mesi il suo nome veniva accostato fortemente a due delle principali candidate al titolo, gli Houston Rockets dell’amico Chris Paul e del suo ex allenatore Mike D’Antoni, con cui non ebbe un rapporto particolarmente idilliaco, e i Cleveland Cavaliers di LeBron James, finalisti ormai da ben tre anni consecutivi e vincitori dell’anello nella stagione 2015-2016. Solo per trasferirsi in una di queste due franchigie l’esperta e talentuosa ala piccola avrebbe rinunciato alla sua no-trade clause presente nel contratto con i New York Knicks, come affermato dallo stesso Anthony. Voci e indiscrezioni si sono susseguite per tutta l’estate, sin dall’apertura della free agency, ma mentre stelle del calibro di Jimmy Butler, Chris Paul, Paul George, Gordon Hayward, Derrick Rose, Kyrie Irving e Isaiah Thomas sono stati protagonisti di trasferimenti che hanno infiammato gli animi degli appassionati e reso ancor più trepidante l’attesa degli amanti di questo sport, il classe ’84 rimaneva a guardare, intrappolato a New York dal suo contratto e soprattutto dal fatto che le proposte di trade formulate per il suo acquisto dalle squadre interessate non avevano soddisfatto particolarmente la dirigenza dei Knicks.
Houston Rockets avevano proposto uno scambio con l’ala grande classe ’88 Ryan Anderson, rispedito al mittente dai newyorkesi. Nel frattempo, la stella dei Portland Trail Blazers Damian Lillard aveva aperto a un possibile arrivo di Anthony nell’Oregon, provocando addirittura i campioni in carica dei Golden State Warriors, mettendoli in guardia sul fatto che con l’arrivo del fuoriclasse 33enne anche la squadra di Terry Stotts si sarebbe candidata al titolo. Dopo settimane e settimane di speculazioni e ipotesi varie, Carmelo Anthony ha scelto di trasferirsi agli Oklahoma City Thunder, in cui comporrà uno dei migliori big three della lega insieme all’idolo di casa nonché detentore del prestigioso riconoscimento di MVP Russell Westbrook e dell’altro neoacquisto Paul George, prelevato dagli Indiana Pacers in cambio di Victor Oladipo e Domantas Sabonis. I New York Knicks, dal canto loro, guadagnano i cartellini di Enes Kanter e Doug McDermott e una futura scelta al secondo giro del Draft 2018. Lo stesso Anthony ha ammesso che sulla sua decisione hanno influito e non poco le presenze di Russell Westbrook e Paul George, con cui formale un trio offensivo da urlo per portare gli Oklahoma City Thunder alla conquista del primo titolo della loro storia, in quanto l’unico anello, datato 1979, fu vinto dai Seattle SuperSonics. A pesare sulla sua decisione, però, è stata sicuramente anche la voglia di tuffarsi in una nuova avventura, di ritrovare stimoli ed ambizioni e tornare a sentirsi un giocatore speciale in un contesto adatto alle sue caratteristiche. Accolto dai festanti tifosi di OKC all’aeroporto di Oklahoma, Melo è già entusiasta della scelta che potrebbe cambiargli la carriera e farlo tornare ai suoi livelli dopo le recenti annate buie.
La sua esperienza con i New York Knicks si era ormai conclusa da tempo, con l’ambiente che appariva sempre più ostile e un rapporto piuttosto turbolento con l’ex proprietario della franchigia newyorkese Phil Jackson, sollevato dall’incarico lo scorso 28 giugno dopo poco più di tre anni trascorsi alla presidenza della squadra con cui da giocatore militò dal 1967 al 1978, vincendo l’anello nel 1970 e nel 1973. Arrivato nel 2011 ai Knicks, in seguito a una trade con la sua ex squadra, i Denver Nuggets, Anthony sembrava rappresentare la punta di diamante di una squadra dalle rinnovate ambizioni e con grandi idee in ottica presente e futura. Le cose, però, spesso e volentieri non vanno nel verso giusto e, dopo aver causato le dimissioni di Mike D’Antoni nella stagione 2011-2012, è costretto ad arrendersi al primo turno dei playoff in entrambi i casi nei suoi primi due anni tra le file della squadra della sua città, perdendo rispettivamente contro i Boston Celtics di Paul Pierce, Ray Allen e Shaquille O’Neal per 4-0 e contro i Miami Heat di Dwyane Wade, Chris Bosh e LeBron James. L’anno successivo, invece, si laurea miglior marcatore della regular season con 28,7 punti di media. Il 24 gennaio 2014 stabilisce il suo career-high, mettendo a referto la bellezza di 62 punti nel match contro i Charlotte Bobcats al Madison Square Garden: così facendo supera Kobe Bryant per ciò che concerne i punti messi a segno nell’impianto di New York (Black Mamba ne aveva realizzati 61) e centra il record di franchigia dei Knicks, in quanto prima di allora nessuno aveva fatto meglio di Bernard King, autore di 60 punti.
Dopo un’estate ricca di colpi che hanno entusiasmato e incuriosito i tanti appassionati del basket a stelle e strisce, il passaggio a sorpresa di Carmelo Anthony agli Oklahoma City Thunder scuote l’apparente calma e tranquillità che nelle ultime settimane gravitava attorno al mondo della NBA. Dieci volte All Star e vincitore dell’oro olimpico nel 2008 a Pechino, nel 2012 a Londra e nel 2016 a Rio de Janeiro, il 33enne viene finalmente accontentato e potrà rilanciarsi in un ambiente che sembra adatto a lui sotto tutti i punti di vista. I tifosi di OKC non stanno più nella pelle e non vedono l’ora di vedere all’opera il buon Melo con la maglia della loro squadra del cuore, così come lui stesso è impaziente di giocare al fianco dei suoi nuovi compagni, in particolar modo Westbrook e George, e di tornare a sentirsi speciale in una squadra che quasi sicuramente darà filo da torcere alle tante altre pretendenti al titolo. Reduce da una stagione in cui è sceso in campo in 74 occasioni su 82, facendo registrare una media più che positiva di 22,4 punti, 5,9 rimbalzi e 2,9 assist a partita, Anthony occupa un posto di rilievo tra le leggende del basket statunitense ed è uno dei tanti talenti selezionati al Draft del 2003, in cui i Denver Nuggets lo prelevarono con la terza scelta assoluta, dopo LeBron James (prima scelta assoluta dei Cleveland Cavaliers) e Darko Miličić (chiamato dai Detroit Pistons e ritiratosi nel 2012, a soli 27 anni) e davanti a Chris Bosh – per lui sette anni tra le file dei Toronto Raptors prima di trasferirsi in quel di Miami – e Dwyane Wade, icona dei Miami Heat per oltre un decennio.
Nei suoi primi anni di carriera Carmelo era uno di quei giocatori in grado di spostare gli equilibri, dotato di quel tocco vincente che per la verità non ha mai perso, ma che negli ultimi anni si è notevolmente offuscato. In una lega del calibro della NBA non bastano le qualità tecniche per fare la differenza, ma servono anche e soprattutto un collettivo determinato e solido e tante, tantissime motivazioni. Queste ultime gli sono spesso e volentieri mancate nella sua New York, città in cui avrebbe dovuto recitare un ruolo di primo piano e trascinare la squadra, a secco addirittura dal 1973, alla vittoria del titolo o quantomeno farla competere con le altre big nel percorso intricato e insidioso dei playoff. La strada, però, è stata fin troppo tortuosa e piena di ostacoli per Anthony, che ha provato a fare il massimo per riuscire nel suo intento, ma non è bastato. La congiura di Phil Jackson nei suoi confronti è stata la cosiddetta goccia che ha fatto traboccare il vaso, con il proprietario dei Knicks che non si è mai esentato dallo scaricare le colpe dell’andamento negativo della franchigia sul numero 7, quasi come se il destino di un’intera società dipendesse soltanto da lui. Il fatto che l’avventura nella sua città natale fosse destinata a concludersi era noto da tempo, ma il suo remunerativo contratto rappresentava fino a pochi giorni fa un ostacolo da non sottovalutare, un vero e proprio intralcio alla sua volontà di sposare una nuova causa e ritrovare lo smalto dei tempi migliori.
E mentre i New York Knicks ripartiranno senza Tom & Jerry, oppure senza Willy il Coyote e Beep Beep – rispettivamente Carmelo Anthony, per il fatto che ci abbia messo sempre impegno e passione pur sapendo che probabilmente non sarebbe bastato, e Phil Jackson, che ha recitato il ruolo del guastafeste – e senza Derrick Rose (trasferitosi ai Cleveland Cavaliers dopo essere finito tra i free agent) e si affideranno al talento del lungo lituano Kristaps Porziņģis e al giovane playmaker francese Frank Ntilikina, ad Oklahoma aspettano di vedere all’opera Melo insieme a Russell Westbrook e Paul George. Come cambierà il gioco di OKC con l’arrivo dell’ala piccola classe ’84? Integrare tre fenomeni del genere in un sistema di gioco ben collaudato non è affatto semplice: Brodie ha già condiviso il parquet con un altro attaccante devastante qual è Kevin Durant, mentre George nei suoi primi anni ad Indiana non era il portatore di palla, in quanto il compito di gestire il pallone toccava alla guardia Lance Stephenson. Per coesistere, i tre fuoriclasse dovranno per forza di cose ragionare nell’interesse della squadra, onde evitare spiacevoli ripercussioni sulla compattezza del gruppo e sulla stagione dei Thunder. La convivenza di tre stelle non è semplice, numerosi sono i casi in cui alcuni dei più promettenti big three della storia sono letteralmente esplosi a causa di incomprensioni e litigi e la situazione è degenerata. Ad Oklahoma, però, non dovrebbe avvenire nulla di tutto ciò, anche perché Westbrook, George e Anthony sono più che consapevoli di lottare per un obiettivo comune, ossia quello di vincere il primo anello della loro carriera, e soprattutto sanno che per riuscire nell’intento dovranno collaborare nell’interesse e nel bene di OKC.
Dennis Izzo
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Coordinatore editoriale di Voci di Città, nasce a Napoli nel 1998. Nel 2016 consegue il diploma scientifico e in seguito si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. Tra le sue tanti passioni figurano la lettura, i viaggi, la politica e la scrittura, ma soprattutto lo sport: prima il calcio, di cui si innamorò definitivamente in occasione della vittoria dell’Italia ai Mondiali 2006 in Germania, poi il basket NBA, che lo tiene puntualmente sveglio quasi tutte le notti da ottobre a giugno. Grazie a VdC ha la possibilità di far coesistere tutte queste passioni in un’unica attività.
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