Vediamo perché, nell’oceano delle cattive notizie, l’incidente del Titan ha fatto così tanto scalpore.
È il 1912 quando il Titanic, il transatlantico più avanzato dell’epoca, urta un iceberg e affonda, portando alla morte più della metà dei suoi 2223 passeggeri. Un secolo dopo Titan, un avanzato sommergibile realizzato proprio per avvicinarsi ai relitti del Titanic, implode senza lasciare alcuna traccia, insieme ai suoi 5 passeggeri. Una coincidenza che fa paura, ma fa anche ripensare la fiducia cieca che spesso diamo alla tecnologia: pensiamo di averla in pugno finché non scappa dal nostro controllo e ci si ritorce contro.
Quello che ha segnato la morte dei passeggeri del Titan è stato uno spiacevole e inevitabile incidente o OceanGate ha qualche responsabilità? È questa la domanda che risuona incessante sul web, tra esperti che cercano di indagare sulle cause dell’incidente e comuni utenti che avanzano le loro ipotesi sui social.
Da quanto è emerso finora, il sottomarino Titan sembrerebbe tutt’altro che perfetto.
Uno degli aspetti più paradossali e che ha fatto discutere l’opinione pubblica è il controller utilizzato per comandare da remoto il sottomarino. Si tratta di una versione leggermente modificata del Logitech F710, joystick sul mercato da oltre 10 anni e dal prezzo di 40 euro. Assurdo pensare che un sottomarino da milioni di euro che si professa all’avanguardia sia controllato da un dispositivo simile. Eppure, non è l’unico uso che è stato fatto di questo controller: basti pensare che la Marina americana ha utilizzato un controller dell’Xbox 360 per comandare un sottomarino d’attacco.
A rendere la catastrofe un evento unico nel suo genere è sicuramente lo status socio-economico delle vittime.
Hamish Harding, miliardario britannico di 58 anni; Paul-Henri Nargeolet, esploratore 76enne che ha avuto un ruolo di rilievo nel recupero dei relitti del Titanic; Stockton Rush, ingegnere aerospaziale e CEO di OceanGate; Shahzada Dawood, uno dei manager pakistani più ricchi, insieme al figlio 19enne Suleman. Tutti uomini ricchi e facoltosi che, loro malgrado, hanno speso 250.000 dollari per un biglietto di sola andata a bordo di quella che si è rivelata essere una trappola mortale.
Se questo, da un certo punto di vista, crea distanza empatica tra vittime e “spettatori”, portando a credere che un incidente del genere non potrebbe mai accadere a una persona comune, dall’altro fa capire che i soldi non rendono invincibili. Forse riusciamo ad abbandonare la spettacolarità dell’evento, che sembra quasi la trama di un film d’avventura, e tornare con i piedi per terra pensando a Suleman, il ragazzo 19enne che ha deciso di superare la sua paura della profondità per fare un “regalo” al padre, in occasione della festa del papà, inconsapevole del tragico destino che lo aspettava.
Tanta visibilità mediatica porta a tante opinioni discordanti, soprattutto sul web. Tra chi dà la colpa all’azienda per le lacune in merito alla sicurezza e chi alle vittime suggerendo che, in qualche modo, se la siano cercata accettando di salire a bordo di un sottomarino evidentemente poco sicuro. Ma, al di là della questione della responsabilità che sarà risolta legalmente, il sentiment degli utenti del web riguardo alla questione è abbastanza insolito.
C’è chi ha approfittato della visibilità della tragedia per gettare luce su un’altro fenomeno: i migranti morti in mare. Più di un utente ha sottolineato amaramente come più di 10 morti al giorno passino praticamente inosservati, mentre 5 vittime di un incidente fortuito destino tutto questo scalpore, forse perché ricchi e privilegiati. Ma gran parte degli utenti dei social si è spinto ben oltre queste riflessioni, andando a creare un vero e proprio “meme” attorno alla tragedia. Già dalle prime ore di inizio delle ricerche sui social sono iniziate a spuntare le prime vignette ironiche.
Anche dopo la confermata morte delle vittime, l’ironia non si ferma. Ci sono morti più o meno tristi? È il patrimonio a definire il valore di una vita umana? O si tratta semplicemente di black humour?
Alice Maria Reale
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Nata a Catania nel lontano 2002, la piccola Alice si è sempre distinta per la sua risolutezza e determinazione.
Dopo aver deciso di voler diventare un’archeologa, poi una veterinaria e poi un’insegnante, si iscrive al Liceo Linguistico Lombardo Radice e scopre le sue due grandi passioni: la scrittura e le lingue straniere, che decide di coniugare iscrivendosi alla facoltà di Scienze e Lingue per la Comunicazione.