«Cedere alle avances del boss è prostituzione non stupro» titola così la pagina di Libero dedicata alla recente inchiesta del New York Times che ha coinvolto il magnate del cinema Harvey Weinstein e diversi personaggi dello star system hollywoodiano tra cui vi è anche l’attrice e regista italiana Asia Argento.
La vicenda è nota, nelle sue linee generali, più o meno a tutti: in base a ciò che riporta il quotidiano newyorkese e alle dichiarazioni di diverse altre parti – come Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow e Cara Delevigne – Harvey Weinstein avrebbe abusato e molestato diverse attrici emergenti per anni, spesso con la complicità di collaboratori e agenti che mettevano in piedi degli incontri a porte chiuse in camere d’albergo – spacciandoli per meeting in cui venivano offerte parti importanti – durante i quali si sarebbero consumati gli stupri e i soprusi di cui il produttore è ora accusato.
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Nella bufera mediatica che si è creata intorno alla vicenda, la stampa internazionale e la quasi totalità dell’opinione pubblica ha espresso esclusivamente solidarietà per Asia Argento e le altre vittime di Weinstein: basta dare un’occhiata alle centinaia di tweet e commenti che riceve l’attrice in questi giorni per farsi un’idea di quanto il tema della violenza sessuale negli ambienti cinematografici sia uno degli orribili segreti informali della macchina hollywoodiana. Non in Italia però. In Italia, Asia non ha trovato alcuna solidarietà.
«Prima la danno via, poi frignano e fingono di pentirsi» . Certo, c’è da dire che il quotidiano di Vittorio Feltri non è minimamente nuovo a sparate del genere ma confondere la violenza sessuale – come quella che si è consumata ai danni delle attrici molestate da Weinstein ed in particolare da quella subita da Asia – con la prostituzione denota, se non pura e semplice malafede, quantomeno una straordinaria arretratezza e chiusura mentale tipica di una visione machista ancora imperante nella società italiana.
Pensare esclusivamente che, piegandosi al ricatto, l’Argento fosse consenziente e che il suo silenzio fino ad oggi abbia contribuito alle violenze che Weinstein ha avuto modo di commettere è più che raccapricciante sotto un infinito numero di aspetti ma è, soprattutto, una lettura abbastanza semplicistica dell’accaduto.
Harvey Weinstein al Lou Reed’s Berlin after party, 2008 ph: T.M. Codispodi
In primo luogo, la stragrande maggioranza delle vittime delle molestie era poco più che maggiorenne all’epoca dei fatti e, sebbene questo possa rappresentare una esimente per le azioni di Weinstein, ritenere che solo per tale motivo tutte le attrici che si sono piegate a tali abusi fossero consenzienti è un pensiero terribilmente naïf.
In secondo luogo, dai racconti di chi ha avuto la forza di denunciare si evince come i metodi adottati dal magnate hollywoodiano si basassero abbondantemente sulla ingenuità delle sue vittime – che si aspettavano incontri professionali – e sulla fisicità dei suoi approcci; Judith Godrèche, attrice francesce e star di Ridicule, denunciando al New York Times la sua esperienza, ricorda di come Weinstein, dopo averla invitata nella sua suite per discutere delle campagne pubblicitarie del film e di una possibile candidatura agli Oscar si fosse lanciato su di lei e avesse tentato di spogliarla. Cara Delevigne, musa di Karl Lagerfeld e una delle attrici più in crescita negli ultimi anni, ha raccontato, invece, della sua esperienza successiva ai tentativi di molestie: «ero terrificata all’idea di parlarne apertamente […] mi sentivo colpevole, come se in quel modo avrei fatto qualcosa di sbagliato».
È proprio da queste ultime dichiarazioni che si riesce a comprendere la gravità delle molestie e il perché così tante donne non abbiano mai denunciato: la paura che Weinstein e la sua posizione all’interno delle gerarchie hollywoodiane generavano nelle sue vittime è stato ciò che ha potuto permettere che questi soprusi si consumassero per più di vent’anni, non la reticenza delle attrici e sicuramente non la reticenza, in particolare, di Asia Argento.
Ponendo anche il caso che una sola di queste sue vittime lo denunciasse, si è davvero convinti che la verità sarebbe venuta immediatamente a galla e che Weinstein sarebbe stato etichettato per lo stupratore che è, oppure è molto più probabile che quest’unica voce che si fosse sollevata sarebbe stata silenziata e sommersa dalla valanga mediatica che un uomo di potere avrebbe potuto scatenare per ostracizzare chi gli si opponesse ?
Non ci vuole certo un genio per capire che la posizione delle vittime di questo sistema fosse ben più complicata di quello che appare e che non è possibile vedere in chi ne prende le difese solo l’ennesimo tentativo di quella corrente buonista subito pronta a giustificare chi, guadagnando milioni, piange sul latte versato delle proprie cattive scelte. Perché se è vero che ognuna delle donne molestate e stuprate da Weinstein avrebbe tranquillamente potuto perseguire altre carriere piuttosto che fare l’attrice, è anche vero che violenze del genere non sono limitate all’ambiente di Hollywood ma avvengono ogni giorno, in ogni ambiente lavorativo, indipendentemente dal sesso della vittima.
Francesco Maccarrone
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