CATANIA – Una parte fondamentale della storia dell’animazione è indubbiamente costituita dalla produzione giapponese che fin dagli anni settanta ha proposto ed esportato modelli di riferimento in tutto il mondo. In particolare, proprio il primo periodo con i suoi mitici robot come Mazinga Z, ha rappresentato un momento fondamentale nella crescita dell’animazione, divenuta oggi un patrimonio culturale che in qualche modo ha caratterizzato un’epoca e che vede un vasto pubblico di appassionati e collezionisti.
Durante la prima giornata di apertura dell’Etna Comics 2015, Festival internazionale del Fumetto e della Cultura Pop che si tiene ogni anno a Catania, Fabrizio Mondina ha presentato il suo libro sulla Golden Age dei robot giapponesi edito da J-Pop, Super robot files. Il volume, come lo stesso Mondina (accompagnato dall’editore Jacopo Costa Buranelli) ha spiegato, è una sorta di enciclopedia che serve a illustrare queste opere in italiano con rigore e pulizia filologica, cercando di eliminare qualsiasi tipo di errore spesso apportato dalle traduzioni “italianizzate” dei nomi delle opere nipponiche: la sua intenzione era, infatti, quella di rendere il libro così come dovrebbe essere in giapponese.
L’autore, nell’introdurre il volume, ha tenuto a precisare che il suo scopo non era quello di renderlo un “nostalgico ricordo” di un’epoca che ha segnato la sua infanzia, ma anzi di realizzare un’opera per tutti, chiara e fruibile non solo per i quarantenni che hanno vissuto quel periodo, ma anche e soprattutto per i ventenni che invece non conoscono quel pezzo di storia che costituisce un pilastro che rimarrà immutato, da tramandare come una sorta di nuova mitologia. Secondo Mondina, queste serie, pur nella loro semplicità, contenevano idee sulle quali oggi si costruisce un po’ tutto quello che i giapponesi stanno facendo con l’animazione, riciclando letteralmente un intero decennio; gli stessi grandi animatori, come Miyazaki, sostengono appunto che oggi l’animazione giapponese si trovi a un punto fermo. Questo succede, perché i nuovi autori sarebbero troppo influenzati da queste serie e molti non hanno il coraggio di andare oltre i vecchi modelli.
Concludendo, Mondina ha poi allargato il discorso, riferendosi anche all’animazione americana e considerando ipocrita il mondo di valori ad esempio proposto dalla Disney e dall’animazione americana in genere, rispetto a quella giapponese che è riuscita negli anni a raccontare storie complesse in grado di toccare temi molto importanti, come le guerre senza senso, la violenza, ecc. Argomenti reali, di denuncia che buona parte dell’animazione americana non ha ancora avuto il coraggio di raccontare. Infine, alla spinosa domanda postagli su come considera la censura italiana su manga e anime giapponesi, ha risposto: «Sono discorsi che oramai hanno davvero fatto il loro tempo. È chiaro che i bambini di oggi non sono come eravamo noi, non hanno più paura di nulla e anzi oggi il ventenne compra la tematica horror; è chiaro che il tema portante di questa generazione non è più il super robot, ma lo zombie o il vampiro. Allora, francamente oramai la censura dove dovrebbe essere? Nella sessualità o nell’iper violenza? Non si censura la violenza, ma invece si censura ciò che è perfettamente naturale, come la sessualità appunto. C’è dunque una ipocrisia di fondo nella nostra censura, neanche troppo latente».
Lorena Peci (articolo)
Marco D’Urso (fotografie)
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