CATANIA – Hanno pochi viveri, i soli abiti che si indossano alla partenza e l’ammontare necessario per la traversata. Volti scuri e mulatti giungono ai nostri confini, sagome alle quali si dà in modo troppo semplicistico l’etichetta di “clandestini”. Voci di Città ha dato voce a uno di questi volti: Doudou. Ha 29 anni, è senegalese ed è in Italia da 4 anni e mezzo.
Che lavoro facevi in Senegal, Doudou?
«Studiavo. Ho fatto scuole primarie, secondarie e università. Giocavo a calcio. Lì non ho mai lavorato, tranne in qualche caso per guadagnare un po’ di soldi».
Cosa studiavi?
«Filosofia. Ho interrotto per venire in Italia».
Quante lingue parli?
«Parlo senegalese, francese, inglese, italiano, tedesco e greco. Leggo l’arabo. Non lo parlo ma riesco a leggerlo».
Che lavoro fai qui in Italia?
«Sono commerciante. Ho la mia licenza e faccio commercio. Ogni tanto vado a raccogliere le arance, faccio il bracciante agricolo quando capita… Non mi vergogno a dirlo».
Dove vivi?
«La mia residenza è in provincia di Messina, però mi sposto in base a dove c’è lavoro. Sono spesso qui a Catania».
Cosa ti piace dell’Italia?
«Tutto, mi piace veramente tutto. Non saprei farti un elenco. Gli Italiani sono aperti. Io in Sicilia mi sento in famiglia! Ho persino una mamma italiana, un padre italiano, zii italiani».
Quanti siete nella tua famiglia senegalese?
«Cinque, ma noi in Africa viviamo in comunità. Quindi ci sono anche i figli delle mie sorelle. Siamo in tanti. Anche per questo motivo sono qua, per aiutare la famiglia».
Quindi periodicamente tu mandi soldi alla tua famiglia?
«Sì. Noi abbiamo questa cultura. Ogni immigrato che vedi qua devi immaginare che ha minimo 12 persone alle spalle. Siamo una famiglia e tutti ci aiutiamo a vicenda. Anche persone che sono vicine alla mia famiglia. È solidarietà».
Come sei arrivato in Italia?
«Sono arrivato dalla Grecia, con il mio passaporto. Sono venuto con una grande nave».
Sei entrato legalmente?
«Sì, legalmente. La prima volta sono arrivato in un modo che non si può dire. Poi però sono andato in Grecia e da lì sono entrato legalmente».
Puoi raccontarmi come sei arrivato la prima volta?
«In un modo che… veramente, non si può dire. Perché è una faccenda tra noi che siamo qui e quelli che sono in Senegal. Ci sono tante cose che non possiamo dire».
Com’è stato il viaggio?
«Normale. Normale, davvero. Io ho scelto di venire in Italia. Se anche è duro non importa, perché l’ho scelto io ed è un piacere, perché sono qua. Non è facile per nessuno arrivare».
È stata dura la traversata?
«No, sai perché? Perché sono vivo».
Perché hai scelto Catania? Conoscevi qualcuno?
«Qui c’è mia sorella da tanti anni. Ma ho scelto di stare qui perché mi piace. Prima sono stato al nord. Quello che mi è piaciuto del sud è il carattere dei siciliani: la solidarietà, il senso della famiglia e l’apertura. Al nord sono un po’ chiusi. Qui è più bello. Ho la mia libertà».
Hai detto che sostieni economicamente la tua famiglia in Senegal. Non pensi che questo possa incidere sull’economia Italiana?
«Tutti dicono che la colpa della crisi siamo noi, che il governo aiuta gli stranieri e non si occupa degli italiani. Non è così, la crisi parte da molto più in alto. Noi non mandiamo soldi e basta. Noi viviamo qui, mangiamo qui, paghiamo l’affitto. Noi facciamo parte dell’economia! Dicono che noi stranieri portiamo via il lavoro agli italiani. Anche questo non è vero. Noi facciamo lavori che voi italiani non fareste mai! Facciamo i lavori che la nuova generazione non fa. Io ho fatto il badante, non me ne vergogno. Nessun italiano farebbe il badante, nessuno della nuova generazione da 18 a 35 anni».
So che hai assistito una persona molto importante per te…
«Eravamo grandi amici. Lui è morto da poco e per me è stato un grande dolore. Era professore di filosofia, che a me piace tantissimo. Parlavamo in francese. Lui aveva il morbo di Parkinson, sono stato con lui per 3 anni. Era solo, abbandonato dalla sua famiglia. Mi ha messo in regola, è stato grazie a lui che ho potuto ottenere il permesso di soggiorno. Lo aiutavo a prendere le sue medicine: per mangiare, per dormire, per fare il bagno. In un mese era migliorato tantissimo, aveva anche preso dei chili. Poi suo fratello mi ha cacciato via, pensava che io volevo stare con lui per i soldi. Loro lo lasciavano sempre solo, sono tornati soltanto perché pensavano ai suoi soldi, dato che aveva una bella pensione. Ma loro sono la sua famiglia e io dovevo fare semplicemente il mio lavoro. Non ho potuto fare niente. Lui era qualcuno. Mi voleva bene. Non lo dimenticherò mai, Nino…»
Hai mai subìto forme di razzismo?
«Ormai non si può più parlare di razzismo. Vedo tanta gente ignorante. Quelli che dicono di aver capito tutto, sono i più grandi ignoranti. Ed è così in tutte le parti del mondo! Ogni volta sul treno, quando mi siedo qualcuno cambia subito posto. Io non dico niente e penso solo che sono ignoranti. Perché forse non si ricordando che i loro antenati sono andati in Inghilterra, in America e in altri posti prima di me. Quando qualcuno si siede a parlare con me… sono fortunato. Mi capita di parlare coi bambini e dico loro che dovrebbero vedere l’Africa perché non è come tutti dicono».
È mai capitato a qualche tuo amico o qualcuno che ti è vicino?
«Ci sono tante cose negative, ma anche quelle positive. Se sono più quelle positive, a quelle negative non ci pensi. Però succede. Per esempio: se un italiano è vestito bene, ha l’iPhone 5, ha il grande televisore, una bella macchina e la Play Station 3, tutti pensano che è uno ricco! Se invece uno straniero è vestito bene e ha queste cose, la gente pensa che è una cattiva persona, che quelle cose sono rubate. Qui tutti hanno gli stessi diritti, perché non è possibile che uno straniero trovi un lavoro buono e guadagni più di un italiano che magari non ha lavoro? Io, anche se ho un vestito bello, non lo metto. Preferisco essere normale, perché voglio stare tranquillo. Per questo ti dico che non c’è razzismo, è solo ignoranza! Ripeto sempre la stessa parola perché è questo il problema… Ma io non me la prendo con loro. È colpa della scuola, dell’informazione e dell’educazione».
Strage di Lampedusa: tu che ci sei passato, cosa hai pensato di quello che è successo?
«Prima di partire nessuno pensava che sarebbe morto nell’acqua. La morte viene prima, nel momento in cui decidi di fare il viaggio. Prima di partire sai che la barca è piccola, sai che devi mangiare là dentro, sai che devi cucinare. Sai che puoi arrivare come non puoi arrivare. Se sei musulmano credi nel destino. Quelli che sono arrivati non sono migliori di quelli che sono morti, doveva andare così. Quello che non abbiamo in Africa, abbiamo rischiato per trovarlo qui. Non è la prima volta che si muore nel viaggio e non sarà l’ultima. Io penso che deve andare così: se sei fedele vai incontro al tuo destino. A quelli che sono morti auguro di trovare la pace. A quelli che sono arrivati auguro di trovare documenti, un lavoro e soprattutto di comportarsi bene con gli italiani».
Alla notizia della violenza su una donna durante la traversata, molti italiani hanno accusato il governo di accogliere in Italia degli stupratori. Cosa ne pensi?
«Non so come lo hanno interpretato, si deve vedere se è vero oppure una bugia. Qui, come da noi, ci sono persone educate e persone non educate. Ci sono persone italiane che si comportano male con gli stranieri e stranieri che si comportano male con gli italiani, è così la vita! Però ci sono anche gli italiani che si comportano bene con gli stranieri e gli stranieri che si comportano bene con gli italiani. Non si devono guardare solo le cose negative».
Hai saputo che alcune barche di qui non li hanno soccorsi a causa di una legge italiana che considera il trasporto fino a riva reato di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”?
«Credo che la vita sia più importante di qualsiasi altra cosa. Purtroppo succede anche da altre parti. La gente non lo capisce, dovrebbero andare in Libia per capire cosa significa venire qua. Un atto umanitario non può essere sanzionato. Non si può non soccorrere qualcuno che sta morendo».
Credi che per tutti coloro che scappano dalle guerre e dalle dittature nei loro paesi venire in Italia sia davvero una soluzione?
«L’Italia è solo una porta, il punto più vicino per entrare in Europa. È solo un caso! Tutti quelli che hanno l’asilo politico se ne vanno da qui. Lo sappiamo anche noi che in Italia c’è crisi, che non c’è lavoro. Quelli che possono vanno fuori, verso la Scandinavia, per lavorare».
Una volta entrati, non è difficile uscire dall’Italia?
«No, non è difficile. Qui sono bravi. Tutti gli stranieri devono ringraziare il governo Italiano, perché alla fine ti mette sempre in regola. La prefettura, i permessi di soggiorno… Veramente, sono bravi! Al governo Italiano, nel settore degli stranieri, sono veramente bravi. Davvero, non posso dire nulla di negativo. Ogni anno fanno di tutto per metterci in regola».
Pensi di essere stato fortunato?
«Non è fortuna. Io so che sono fuori, che non è il mio paese… Mi devo comportare bene con tutti, devo essere educato. Io prima di tutto so che non posso essere come voi. Voi parlate di integrazione, ma l’integrazione è impossibile! Io non posso mai pensare di essere al 100% come qualcuno di qui. Abbiamo tutti gli stessi diritti, ma siamo diversi. Abbiamo culture diverse e io non devo dire che la mia è migliore della vostra. L’Italia non è il mio paese, allora prendo la mia cultura, la metto da parte e cerco di imparare la vostra, provando a metterle insieme per vivere d’accordo con voi. Sono molto simili le nostre culture e non ce n’è una più importante. Sono allo stesso livello, ma sono diverse. È questo che io intendo per integrazione. E chi pensa così non potrà mai non andare d’accordo con qualcuno! Chi non rispetta noi non è in grado di rispettare nessuno, perché non capisce… Perché è ignorante».
Come ti vedi nel futuro?
«Qui, in Italia. Voglio studiare per diventare mediatore culturale. Sto cercando un modo per far riconoscere tutto quello che ho studiato in Senegal. Voglio lavorare qui e costruire qui la mia famiglia. Nella visione di un’integrazione culturale».
Credi che sia possibile l’integrazione totale un giorno?
«Tutti partono. Tanti giovani italiani escono perché pensano che qui non possono vivere, così come tanti stranieri vogliono vivere qua. È così. Il mondo è fatto così! È la mitologia delle caverne: l’uomo vuole sempre di più e quindi se ne va, e cerca di più».
Quindi il fenomeno si incrementerà…
«Certo! Il mondo adesso è interculturale! Solo sessant’anni fa era impossibile che ci fossero persone di colore in Germania, e guarda adesso. Nessuno pensava che dei ragazzi di colore potessero giocare nella squadra di calcio nazionale della Germania, eppure adesso ci sono. Il mondo è interculturale e chi vuole vivere in pace deve accettarlo. Chi non lo fa vive male nel suo cuore e questa è l’ignoranza. L’ignoranza è peggio del razzismo».
Benedetta Intelisano
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