CATANIA – durante una domenica soleggiata, in via Randazzo 27, alcune decine di persone trascorrono la mattinata chiaccherando nei pressi di un giardino con alcuni alberi di limone i cui frutti sono però ancora acerbi. L’immobile apparteneva al clan Santapaola e venne confiscato nel 1999. Il bando per l’assegnazione è stato vinto da I Siciliani Giovani, Gapa, Arci, Anpi e Fondazione Giuseppe Fava. Nonostante le erbacce disseminate per il giardino e le condizioni in parte disastrate dell’abitazione, i volti dei presenti manifestano un raggiante ottimismo. Da alcuni giorni il bene è stato restituito alla comunità e, nella giornata di ieri, i gruppi assegnatari hanno organizzato un momento di incontro aperto alla collettività. Dopo una breve occhiata, è immediatamente possibile comprendere che serviranno numerose energie per rimettere a nuovo questo spazio. Tale consapevolezza non sembra però scalfire le intenzioni degli autori dell’iniziativa, i quali lavorano da settimane e incessantemente nell’opera di finaziamento del Giardino di Scidà. In esclusiva per VdC, abbiamo intervistato il caporedattore de I Siciliani, Giovanni Caruso.
Giovanni, prima di entrare nel merito, perchè avete denominato questo spazio Il giardino di Scidà?
«Oltre ad essere noto per il caso Catania e per aver presieduto il tribunale dei minori, consideriamo Scidà un importante simbolo dell’antimafia sociale, un modello di lotta alla criminalità che parte dal basso. Durante la sua vita collaborò attivamente con il Gapa ed era da tutti considerato un amico, prima che un magistrato. Pertanto, lo ricordiamo in primis come uomo, sebbene sia stato un gigante nel suo mestiere. Scomparve nel 2012, il 22 novembre, intendiamo quindi ricordarlo e omaggiarlo intitolando questo bene a lui.»
Restiamo in tema di antimafia sociale. In che modo è possibile colmare la distanza tra istituzioni e società civile in quest’ambito?
«Solitamente gli enti locali tendono ad esaudire le richieste delle associazioni sulla base del colore politico o dell’appartenenza partitica. La società civile, progressista ma borghese, ritiene spesso che certi obiettivi, come quello da noi raggiunto con il Giardino di Scidà, siano perseguibili soltanto andando a elemosinare l’approvazione di chi detiene il potere. Per noi le istituzioni sono sacre, ma pretendiamo che i risultati da noi raggiunti derivino unicamente dal valore delle nostre proposte. Fortunatamente il nostro progetto è stato riconosciuto e apprezzato, per questa ragione siamo riusciti ad ottenere il bene. Vorrei citare in particolar modo l’ingegnere Trainiti, che ha seguito le procedure burocratiche necessarie con una professionalità esemplare.»
Non sono stati mesi semplici per i Siciliani, a partire dalle intimidazioni ricevute l’estate appena trascorsa. In che modo avete affrontato la situazione? Siete stati lasciati da soli?
«Il 14 luglio scorso presentammo il venticinquesimo numero de I Siciliani davanti il Castello Ursino,nella piazzetta di Gammazita. Era poco tempo prima accaduto un episodio, a mio avviso splendido, inerente la Geotrans, confiscata agli Ercolano–Santapaola. Dopo la confisca, la ditta di trasporti in questione venne affidata a degli amministratori, tra i quali vorrei menzionare Luciano Modica. Per la consegna del numero del nostro giornale, ci siamo affidati alla Geotrans e a Modica, che ha collaborato con estrema gentilezza per la nostra causa. Io ho rivendicato con orgoglio questa vicenda, ovvero sia la collaborazione tra i Siciliani ed un’impresa che precedentemente apparteneva agli Ercolano, i quali sono responsabili dell’uccisione del nostro direttore, Giuseppe Fava. Il mio intervento al Castello Ursino evidentemente deve aver dato fastidio a qualcuno. «Tagghila o ti scippamu a testa»: furono le parole contenute in una lettera a me indirizzata. Dopodichè, io e alcuni membri del Gapa siamo stati protetti per qualche tempo. Si è creata una cintura di protezione intorno a noi, specialmente in virtù del fatto che se si è in tanti risulta più semplice scacciare la paura. Abbiamo ricevuto numerose telefonate e manifestazioni di solidarietà da ogni parte di Italia, quindi siamo riusciti ad affrontare il tutto con più determinazione.»
Tornando al Giardino di Scidà, in che modo avete intenzione di utilizzare questo spazio?
«Il Giardino di Scidà dovrà essere la casa delle associazioni. Non sarà la sede della redazione, e nemmeno del Gapa che ha già una propria sede a San Cristoforo. Oltre alle associazioni che hanno collaborato con noi per ottenere l’assegnazione del bene, siamo aperti all’adesione di chiunque intenda offrire il proprio contributo. Ad esempio, il Comitato Antico Corso e il Comitato San Berillo hanno già comunicato la loro disponibilità. Stiamo ricevendo numerosi aiuti sia in termini economici che sotto il profilo organizzativo. Ad esempio, giorno 2 il Gapa organizzerà una cena sociale in occasione della quale verrà devoluto metà dell’incasso alla campagna di crowdfunding.»
A proposito, come va il finanziamento?
«Dobbiamo raccogliere 7.500 euro entro il 22 dicembre. Se ci riusciamo, Banca Etica devolverà al progetto altri 2.500 euro. In queste due settimane siamo riusciti a raccogliere già 2mila euro, siamo molto soddisfatti.»
Attività in programmazione?
«L’idea, come già sottolineato, è quella di fornire alla comunità uno spazio di confronto e di crescita. Organizzeremo dei momenti di dibattito, eventi culturali, spettacoli teatrali e circensi. Il tutto con la consapevolezza della storia di questo luogo, che nasce come simbolo dell’antimafia sociale. Vi è in cantiere anche l’idea di allestire una webradio per le associazioni, così da esporre le realtà dei quartieri e le problematiche sociali che ciascun gruppo intende affrontare. Questo è il progetto che amo di più, perchè ritengo che possa rivelarsi il più efficace.»
Francesco Laneri
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