«Tindari, mite ti so//Fra larghi colli pensile sull’acque//Delle isole dolci del dio,//oggi m’assali//e ti chini in cuore[…] » così le si rivolgeva Salvatore Quasimodo. Versi noti alla letteratura per essere stati capaci di unire al simbolismo ermetico riferimenti meramente realistici. Binomio inusuale che però trasmette al lettore emozioni suggestive, per nulla discordanti da quelle suscitate dalla polisemia intrinseca della sua stessa località, d’ispirazione per chiunque si accinga a visitarla. Tindari, infatti, piccola frazione di Patti, è insieme scrigno di storia e leggenda, stendardo di arte e natura. Sorta su un alto promontorio del messinese, baciato dal sole siciliano e accarezzato dal mar Tirreno, par proteggere i sottostanti laghetti di Marinello e scrutare le Isole Eolie che all’orizzonte le son dirimpettaie.
Secondo quanto sappiamo, Tyndaris venne fondata dal tiranno di Siracusa Dioniso I alla fine del IV secolo a.C. Fu così chiamata in onore dell’omonimo re di Sparta. Prima di essere dominata da bizantini e arabi, fu un’importante base navale. L’area archeologica tramanda i segni della colonizzazione romana: i mosaici, la Basilica, le Terme. Famoso e suggestivo anche il Teatro greco, lo stesso che i romani tramutarono in anfiteatro.
Sulla vecchia acropoli, nella piazza dedicata all’autore di Ed è subito sera maestoso e imponente si erge il Santuario della Madonna del Tindari, da poco divenuto basilica papale minore. Meta di fedeli e di pellegrini a piedi o a cavallo, custodisce al suo interno la famosa statua della Madonna bruna, celebrata il 7 e l’8 settembre. Secondo la tradizione la statua, da stile e tratti afro-orientali, raffigurante la Vergine bizantina con Bambino, arrivò nella baia di Tindari a causa di una tempesta. Secondo questa versione, collocabile tra l’VIII e il IX secolo, il Simulacro fu nascosto su una nave da alcuni marinai provenienti da Oriente, affinchè sfuggisse alla persecuzione iconoclasta. La Sicilia, d’altronde (adducono i sostenitori di tale tesi), essendosi sempre opposta alle correnti iconoclaste sarebbe stato porto sicuro per l’accoglienza di un’immagine sacra.
Secondo la leggenda, i marinai approdati a Tindari non riuscirono più a spostare l’imbarcazione fino a quando non si liberarono del carico della statua che dovettero dunque lasciare lì dove ancora oggi si trova. La leggenda più nota ambientata nella località messinese è però un’altra. Si racconta, infatti, che una donna giunta davanti la statua della Vergine nera, nel vederla abbia esclamato: «Sono venuta da lontano per vedere una più brutta di me!». Poco dopo, però, la figlia che era con sè cadde dal promontorio; la donna terrorizzata chiese allora aiuto alla Madonna poco prima denigrata. Quest’ultima, per salvare la piccola, avrebbe fatto ritrarre le acque lasciando emergere una lingua di sabbia. Non sfugge, invero, alla fantasia popolare che la spiaggia di Marinello somigli a una donna protesa a offrire un rassicurante abbraccio.
Che sia per la sua storia, insomma, per i suoi connotati leggendari o solo perché il cielo par purgarsi nel mare in una tavolazza dalle mille gradazioni di blu, quel che par evidente è che Tindari, come Quasimodo insegna, è per molti «rifugi di dolcezze».
Concetta Interdonato
(articolo e foto)
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